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- Ma non avevi una decappottabile? - disse la voce dall’accento inglese.
Anche in un periodo più tranquillo di quello, che tranquillo non era, Marino non avrebbe mai accettato un affronto, seppure involontario o velato, alla sua cavalcatura, una Fiat Panda Trekking 4x4. Ma la ragazza che gli sedeva affianco durante la traversata notturna, proprietaria di una canotta, un paio di shorts sopra un paio di gambe scure, e dopo quelle gli infradito, nonché dell’accento inglese non marcato, non leggero, semplicemente gradevole, aveva saputo in qualche modo meritare di evitare quegli occhi piantati in faccia, e pareva esserne consapevole.
- Che ne sai tu della decappottabile? - disse Marino senza staccare dalla strada gli occhi piuttosto stanchi. Fu lei a guardarlo con gli occhi all’insù, senza rispondere.
- Dov’è?
- Non c’è più. C’è questa, una macchina operaia vecchio stampo. Se non ti piace scendi. - disse Marino, però poi sorrise, affinché lei non lo prendesse sul serio, cosa che non avvenne.
- Bella, ma quella era meglio. Devi essere un culturista solo per sterzare.
- Hai ragione. Tra poco arriviamo.
- Non vedo l’ora di vederlo.
- Maury o il Paesello? - chiese Marino.
- Che domande! Il Paesello.
- Non ti aspettare granché.
- Da Maury o dal Paesello?
- Che domande! - Marino si voltò appena, imitando, ma in modo impercettibile, l’accento di lei. - Da nessuno.
- Dai, sorpassa alla destra del tuo passato, di tutti i locali in cui sei stato.
Marino non si impressionò. Ne fu moderatamente contento, questo sì. Aveva scorto nella borsa della ragazza quel libro. Lei lo estrasse e lo sfogliò. Marino si ricordò di essere se stesso guardando il nome in copertina.
- Che si dice a Delhi?
- Niente. La chiamano Delhi perché non c’è nulla di nuovo.
- Pensa solo che stiamo andando al Paesello. E poi, Gilda, la conosco meglio di te Delhi.
- E come? - chiese Gilda, ed era sincera. Marino la guardò con gli occhi all’insù. Gilda non sostenne lo sguardo e lo abbassò sul libro, seria, la bocca socchiusa. - Quante cose hai fatto per noi.
- Quante cose ho fatto. Se le sapessi tutte, saresti qui? E voi, quante ne avete fatte per me?
Gilda ebbe un sussulto e si girò: - E questo che c’entra? - disse. - Nessuno ti ha mai chiesto niente, né ha mai detto che sarebbe stato facile. - argomentò ferma. - Ma cosa puoi dire alla mia comunità? - chiese poi con tristezza.
- Niente. Brava. Risposta esatta. - disse Marino lasciando bruscamente l’autostrada. L’umidità appannava il parabrezza, il vento scuoteva gli alberi.
- Fa fresco. - commentò Gilda.

Le scale portavano a un appartamento e l’appartamento portava direttamente nel mondo della Bohème di paese. C’era una gran confusione, le lampade alogene diffondevano luci soffuse, l’odore e l’igiene non lasciavano presagire molto di buono. La cucina, specialmente, era a soqquadro, c’era qualche avanzo sparso qua e là e le mattonelle marroni erano molto sporche. Sia nella zona giorno che nella zona notte, vagamente separate da una pesante porta a soffietto, erano sparsi indumenti, carte, cianfrusaglie di ogni tipo. La lavatrice era sommersa di panni ed emanava un discreto odore di muffa. Un'altra cosa che colpiva l’olfatto era il ben chiaro aroma di marijuana.
- Ma vivete qua dentro, così? - disse Marino varcando la porta socchiusa.
- Ma che cazzo dici. Solo lui e non sempre. - La voce apparteneva ad Andrea. Leggermente sovrappeso, leggermente canuto, leggermente claudicante, ma sempre il solito Andrea col solito sciarpino colorato al collo.
- Omosessuali maledetti. - fece Marino guardandolo negli occhi mentre la sua compagna posava lo sguardo stranito su quello spettacolo. Andrea lo spinse leggermente, poi si abbracciarono.
- Magari, - commentò poi afferrando una bottiglia di tequila. - e poi sai che pacchia, con tutte quelle checche isteriche radical-chic della minchia. Quanto lavorerei eh?, dimmelo. - Bevve.
- La recitazione è delle lobby di sinistra e lo abbiamo sempre saputo, peggio per te. - disse Marino prendendo la bottiglia. Raggiunse un tavolino di vetro carico di ogni ben di dio, prese un bicchierino pulito, versò la tequila e nel farlo aggiunse: - E modera il linguaggio ché c’è una signora.
- Lo vedo. - Andrea gettò uno sguardo furbetto a Gilda che sorrise. Poi Andrea guardò la grande custodia che Gilda portava a tracolla. - Nikon. Fotografa, eh?
- Beccata! - sorrise lei.
- Piacere, Andrea. Non sei di qui?
- Gilda. Sono nata nell’Agglomerato, i miei sono indiani.
Andrea guardò Marino sempre col solito sorriso: - L’hai presa a Delhi.
- Nessuno ha preso nessuno, - disse Marino accendendosi una sigaretta e sorseggiando. - non è con te che deve parlare.
- Peccato. - disse Andrea. Gilda cercava di apparire rilassata e sicura, cosa che non era; Marino era impassibile. Posò il bicchiere vuoto e si diresse verso la zona notte, seguito dalla ragazza.
La luce della lampada era giallastra, le tendine violacee, le pareti di un arancione sbiadito. Al centro della stanza, avvolto dal fumo, Maury sedeva al pc presso un tavolinetto di legno, e fumava. Gilda tossì. La prima cosa che la colpì di quell’individuo all’incirca trentenne fu la sua sbalorditiva magrezza. Maury alzò lo sguardo, la squadrò bene, non sembrava molto presente. Senza degnarlo di uno sguardo disse a Marino:
- L’altra era più alta.
- Lo so.
- L’altra era più magra.
Gilda guardò Marino con un’espressione smarrita e avvilita.
- Lo so. Vuoi dirle anche che era più bianca? Era una modella!
- E lei invece? - Maury vide la borsa. - Ok. Di dove?
- Delhi. - disse Marino prima che Gilda aprisse bocca per ripetere quanto già detto prima. La guardò e i suoi occhi scrissero nel suo cervello “Fai fare a me, sta fuori.”
- Indiana! Dove sono i nostri marò? - Maury la guardò con un tale sguardo da pazzo che Gilda quasi lo prese sul serio. Non era cresciuta in acque tranquille, ora era in un maledetto paesino, perché tremava? Maury aspirò nervosamente e le spruzzò abbondante fumo in faccia. Gilda prese il braccio di Marino.
- Brutto idiota. Accendi quello che ti rimane in testa o me ne vado.
- Ok, ok. Mandami qualcosa. Ti avverto però, se questo pazzo ti ha… - Marino lo guardò aggiustandogli il tiro: - …ehm, portato qui… in cerca di magheggi, sei nel posto sbagliato. Insomma, guardati intorno, sei in questo buco, neanche le blatte entrano più qua dentro, ti aggrappi a uno scrittore che non scrive più, e tanto meglio per te, perché di là c’è una specie di attore fallito…
- Vaffanculo! - gridò Andrea dall’altra parte, non distogliendo l’attenzione dalla tv. - Bella roba di là, un grafico da quattro soldi che ha abbandonato l’Accademia, sei patetico!
- Lo siete tutti e due. - disse Marino. - Finitela. Voi due potreste combinare qualcosa di buono. Lei è brava. Tu lo eri. Comunque sia, noi ce ne andiamo.
- Va bene, va bene. - fece Maury. - Come no. Sicuramente. - Entrambi spensero le loro cicche nel portacenere. Guardò Gilda e parve sincero quando disse: - Scusa.
- Figurati! - sorrise lei, più sicura, sincera a sua volta.
- Non vi reggete in piedi. - commentò Marino, forse con malignità. Si appoggiò al comò di legno e si sistemò la giacca. - Se faccio la media ottengo due persone di peso normale.
Questa volta non ci fu risposta.
- Andiamo. - disse Gilda. - La macchina operaia vecchio stampo scalpita.
- Anche io, - rispose Marino. - guarda com’è ridotto questo posto.
Maury tornò a sedersi con non poca fatica. Andrea entrò sgranocchiando popcorn. Marino si trovò in mezzo ai due, li afferrò improvvisamente e contemporaneamente per gli avambracci:
- Dovete tornare. E non da soli.
Fece per uscire.
- Aspetta! - disse Andrea, un po’ scosso, trattenendolo. - Gilda, facci una foto!
I tre si fermarono e Andrea si aggiustò i capelli. Gilda cominciò ad aprire la custodia, ma si fermò e li fissò. - No. - disse. - Manca qualcuno.
- Ora andiamo veramente. - sorrise Marino. - E mi raccomando, continuate a non scambiarvi alcun contatto, tanto c’è Pappalardo che sa tutto a memoria.
Uscirono. Andrea e Maury si guardarono. Maury prese il cellulare e inoltrò una chiamata.
- Pronto?
- Torniamo.


Quella sera Marino e Gilda fecero l’amore nella macchina operaia, nel quartiere indiano di Delhi, periferia est dell’Agglomerato, in una notte folle né più né meno delle altre. E fu l’ultima volta.

continua

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Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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