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Parte I

- Salve a tutti. Ho pensato a lungo a cosa dire. Ho scritto, provato e riprovato davanti allo specchio, temendo di fare una figuraccia. La mia paura di parlare in pubblico non si smentisce mai. Sì, lo so che non sono proprio di primo pelo in questo, ma continua a essere una cosa strana per me, “nuova”. Anche se sono… sono stata un’autrice, perché ho effettivamente scritto cose, e molte di queste cose le trovate in giro, quindi ero una di voi. Ma non è mai stata la mia passione, mi piaceva, ma non vivevo per lei…
Elena esitò. Stava divagando, stava parlando di sé. Stava male. Non l’aveva fatto apposta, insomma, era lì per educazione, non ci voleva neanche andare! In platea va bene, ma perché l’avevano messa in scaletta? Non disdegnava quel genere di cose, no, non erano troppo tristi né troppo banali, arrivava, sedeva, se ne andava, e prima il viaggio, e dopo di nuovo il viaggio, e prima ancora il parrucchiere e il vestito, e sempre foto, foto, foto, spesso anche domande ma quelle cercava di evitarle, quindi molte foto. Lo faceva a volte, ma da quasi un anno lei era alienata.
Elena aveva esitato per due secondi, ma le erano parse due ore. Tuttavia, era abbastanza sicura che si trattasse di due secondi. Sospirò, poi riprese:
- No, non vivevo per lei, anche se era un ottimo modo di vivere. Lui viveva per scrivere, per questo siamo tutti qui stasera. Il discorso che avevo preparato, che non ho seguito e di cui non ricordo assolutamente niente era il solito discorso che ormai fanno tutti: la sua scrittura, la sua collocazione, il caso letterario. In pratica, tutto quanto è riportato da Wikipedia.
Qualcuno rise, qualcun altro no, preoccupato.
- Conoscendolo, Gianni avrebbe detto: ‘Rebus sic stantibus, questo genere di incontri è perfettamente inutile’. - Non era da lei parlare in quel modo, cosa diavolo le stava prendendo? - Ma non è così. Possiamo sempre ricordare chi era in realtà Gianni Costa, colui col quale ho condiviso gli otto anni più belli della mia vita, com’era nel quotidiano. Io ci ho vissuto insieme per quattro anni, vi siete mai chiesto com’è stato? Com’è stare vicino a un poeta? Che carattere aveva, come viveva le gioie e le delusioni? Come ve lo immaginate un poeta, per esempio, ordinato o disordinato? Ebbene, lui aveva molta più cura per l’ordine dei nostri vestiti nell’armadio (avevamo un unico armadio rotto) che di ciò che scriveva! Lui pensava che oggigiorno solo un pazzo si definirebbe ‘poeta’,  quando sentiva ‘poeta’ correggeva in ‘autore’. Ebbene, lui, si è visto, era un poeta. Mi dispiace solo che oggi non sia qui a rendersene conto, perché quando lui scriveva ciò che oggi ognuno conosce, viveva per scrivere, ma la scrittura non gli permetteva di vivere!
“Cosa cazzo sto dicendo?” pensò in quel momento Elena. Era andata in quel posto di malavoglia per fare dei brevi saluti conclusivi, qualcuno di sotto stava sonnecchiando e adesso lei, la ragazza di Noce, Benevento, trentamila abitanti, dal palco di uno dei principali teatri dell’Agglomerato, apostrofava i principali esponenti della società nazionale, letteraria e non: docenti, intellettuali, artisti, giornalisti, appassionati. C’era anche qualche politico, qualcuno venuto solo per farsi vedere, infine, dietro, qualche ragazzo. L’ingresso quella sera era libero. Elena notò una coppia seduta sull’estrema destra, erano lì da almeno sei ore, calcolò, se no come potevano aver trovato posto a sedere, o al massimo conoscevano qualcuno, pure il barista, che aveva conservato loro quei due posticini. Déjà vu. Uno dei peggiori.
Stava dicendo quello che pensava da mesi. “Cazzo, potevo dirlo a Paolo al bar, c’era bisogno di dirlo qui?!” Qualcuno sudava, e per una volta non era il caldo. “È tutto ok, in fondo non ho esagerato, va tutto ancora abbastanza bene.”
- Stasera ho fatto come faceva lui, sono andata a braccio. - esclamò, sorprendendosi di come riacquistò il controllo della situazione velocemente. “Forse che sto iniziando a farci il callo?” - Dunque, chi era Gianni Costa, veramente? Un uomo… un ragazzo straordinario. E fin qui, niente di che, si dice di chi non c’è più. Ma lui lo era davvero. Lo descriverei come un coacervo di contraddizioni, una personalità ricchissima, - proclamò, fiera della sua improvvisazione; si stava calmando, le frasi si succedevano più rassicuranti e meno concitate, in prima fila il moderatore si rilassò visibilmente. - una roccia, non si arrendeva mai, né mai si sarebbe arreso; era il colto laureato col quale discorrere della critica psicanalitica di Francesco Orlando, ed era un tipo con cui potevi andare a ubriacarti o a fare sport, ed ecco che ritornava bambino, ritornava nei vicoli di Noce, nel sole della campagna a ferirsi un piede saltando giù da un ramo. Era un intellettuale raffinato, sofisticato, ma ci potevi costruire un acquario o andare a cogliere olive, e allora vedevi che era il ragazzo più semplice del mondo. Amava la filosofia, ma anche la praticità, era curioso di sapere come si fa questa cosa o quell’altra e sempre pronto a trovare la soluzione di un problema, a guardare avanti sorridendo, avevamo tanti progetti, lo sapete. Era razionale, ma non ho mai visto un uomo con così tanta passione, era versatile, generoso, un amante fantastico, uno che se vede un bambino che si diverte si rivede in quel bambino, uno che non avrebbe mai dimenticato da dove veniva.  Tutto questo potrebbe coesistere nello stesso individuo con equilibrio, lui invece te lo dava a zaffate assolutamente irregolari, e io lo amavo per questo, perché era il mio vulcano buono. Grazie.
Ci fu un attimo di esitazione, poi un forte applauso. Elena sorrise. Aveva dato in pasto alla gente materiale nuovo, in più si sentiva stranamente rilassata. Attese qualche secondo, poi fece per guadagnare finalmente il retropalco, quando le venne incontro il moderatore della serata, il professor Ginzburg. Ginzburg era troppo intelligente per l’accademia, si comportava più come un geniale saltimbanco, ma la sua cultura e il suo magistero erano rinomati in tutto il mondo. A Elena lo aveva presentato Gianni anni prima, ora lei era orgogliosa di dargli del tu. Organizzava un evento mondano alla settimana ed erano tutti memorabili. Era una specie di illuminato e la sua prosa era semplicemente inimitabile, come anche le sue denunce per la scarsità (ora come ora, nullità) di finanziamenti che i suoi progetti culturali ricevevano. Ginzburg saltò sul palco in tutta fretta, il volto rubizzo, per fermare quella ragazzina!
- Grazie a Elena Pedicini. - Non aveva detto Elena Costa. Non era mai stata sposata, ma ormai molto spesso veniva chiamata così. La cosa la colpì molto. Il professore fece, come d’abitudine, un commento improvvisato, parlando lentamente: - È stata una testimonianza inedita, una testimonianza originale, molto suggestiva…
- Toccante… - disse il solito spettatore che non sa tacere dalla terza fila (dannazione, dovevamo scendere prima!!). I due giovani a destra cercarono di non ridere ed Elena li sentì. Déjà vu.
- Toccante, toccante… perché no… - soffiò placidamente nel microfono a gelato Ettore Ginzburg, detto Eric per via della sua passione per la chitarra elettrica. A cinquantotto anni suonava ancora nei pub con la sua band, ma quella sera, su quel palco, ansimava per la piccola corsa fuori programma. - Benissimo, il nostro incontro di stasera finisce qui, è stata una bella serata, io ringrazio…, saluto…, certo che però, assessore…

Elena ci mise la solita ora e un quarto a uscire di scena. Il bar, i discorsi, i curiosi, gli inviti a cena cortesemente declinati. Non le dispiaceva più di tanto quel momento in cui ritrovare una dimensione più distesa e informale, in cui gli uomini si slacciano la cravatta, si beve e si prendono le pillole, in cui il barista del teatro pare che abbia cento braccia e tintinnano tazzine e bicchieri. Voleva tanto togliersi o quantomeno cambiarsi le scarpe.
Brindò (la società letteraria beve molto), si congedò, si diresse all’auto parcheggiata fuori. Era ormai notte e l’attendevano due ore di viaggio. Tre o quattro giornalisti l’aspettavano. “Ma non erano andati tutti via?” pensò mentre si legava i capelli rossi.
- Elena, Elena, guarda qua!
Clic, clic, clic.
-Ragazzi, quale volete, quella in cui mi cambio le scarpe o quella in cui mi tolgo le lenti a contatto?... - scherzò. Era diventata spigliata con la stampa, a volte spiritosa; a volte, invece, un drink la scioglieva.
- Elena, Elena!, com’è andata?, dicci due parole!
I microfoni a volte ti arrivano in faccia se non stanno attenti. Elena era quasi alla macchina ma era piuttosto ostacolata nei movimenti. Rimase bloccata sul marciapiede.
- Secondo te com’è andata, a te è piaciuto? - sorrise. - Eric è sempre un ottimo padrone di casa, non si smentisce mai. Una serata elegante di alto profilo artistico-culturale, complimenti agli organizzatori, fanno veramente dei miracoli. - Risposte standard. - Un pubblico squisito. Vado…
- Cosa ti è piaciuto di più?
“Ma che razza di domanda è?” pensò Elena sempre sorridendo; era forse l’unica domanda divertente, la sola cui valesse la pena rispondere.
- La video art, quei due grafici sono davvero bravi, una performance in tempo reale non è da tutti, peccato però che non salgano sul palco per ricevere un applauso! E pure il piano, grande!
- Muoviti, muoviti, c’è la Pedicini! - gridò un cronista al suo cameraman. Dal nulla sbucarono altre sagome. Luci, cellulari, audio registratori.
“Guarda ‘sti poveri cristi di newser, aiutiamoli…” pensò la ragazza.
- Grande Elena, quindi anche tu ami la musica?
- Sì, sì, lo sapete… io ora dovrei proprio…
- Lena, Lena!
“Lena?!”
- Guarda qua!
- Sono stanca, davvero, vorrei…
Si perse un attimo. Le luci gialle, il mare, il cielo scuro dell’Agglomerato, era tutto così bello… déjà vu.
- Elena, Elena!: Gianni Costa.
- Son quattro ore che ne parliamo! - Avrebbe voluto rispondere “Caro, ti aiuto, ma complimenti per l’originalità”.
- Ma, ma, che uomo era?
- Ma te l’ho detto prima!
- Sì lo so, ma perché non ci dici…?
- Ma perché non te ne vai affanculo?
Ginzburg era un omone molto robusto alto 1 metro e 85 e spostò un giornalista da una parte. Era meglio non insistere.
- Guido io…

Elena guadagnò l’abitacolo della Fiat Punto che partì sgommando nella notte. La stampa dell’Agglomerato badò alla propria incolumità e si fece da parte. L’intervista era persa, ma più di uno la scrisse lo stesso.

antonioliva013

... Ti piacerebbe leggere il resto? Un po' di pazienza ;)


tento in vano di saldare il conto salato delle radici

Guarda l’aula vecchia
della tua scuola elementare,
sono ancora lì
le vostre grida,

come puoi
andar via
e lasciarle qua?

Cantare a te
è droga e conforto,
mi porto l’ancora
sulle spalle,
stavolta me la
metto in salotto,
ti canto
la droga e il conforto.

A casa nostra
c’è casa mia,
si mischia il sangue
di uomo e donna,
nel paradiso
che troveremo
c’è l’erba voglio,

c’è la gramigna.

ariano 12
a

quando non ho potuto competere con l’ignoranza ma mi sono sentito a casa

Disprezzi i fiori stranieri
che paghi per stare con te,
c’è più convenienza nei nostri cessi
che nei vostri salotti
parlando e dimenticando di specificare l’argomento

e rimpiango dalla fogna
le mattine passate in chiesa
e viceversa,

libri su croci sottili
che se va bene è normale
e se va male non ci hanno capiti
o viceversa,

stretto abbraccio il bancone
durante la bufera invisibile
mentre l’anomalia scatena il miracolo chimico

e siamo dentro una tasca
e siamo fuori e guardiamo la vasca.


ariano primavera 13
a

su di me

La mia foto
Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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