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novembre 2014
cittadiariano.it

La vita e il rock di Lou Reed

“Tutti quei vostri psichiatri da due soldi che ti fanno l’elettroshock, mi avevano detto che mi avrebbero lasciato vivere a casa con mamma e papà e non in un manicomio, e invece qui ogni volta che cerco di leggere un libro non riesco ad arrivare neanche a pagina 17, perché dimentico dove ero arrivato… Non lo capite che così uccideranno i vostri figli?”

I genitori di Lou Reed – una famiglia borghese di origini ebraiche – sottoposero il figlio quattordicenne a diverse sedute di elettroshock therapy per curargli degli evidenti “segnali di bisessualità”. La cosa, oltre a non “guarirlo”, gli cambiò la vita per sempre. Più avanti avrebbe scritto Kill your sons.
Louis Allen Reed, newyorchese di Brooklyn cresciuto a Coney Island, era nato nel 1942 e se ne è andato nel mese di ottobre, lasciandoci una eredità poetica e musicale di altissimo livello, dopo aver vissuto una vita lunga settantuno anni e migliaia di miglia spericolate.
La sua creatura più famosa resta legata ad un nome che oggi è leggenda: i Velvet Underground, band seminale messa su insieme ad un gruppo di amici a metà anni Sessanta. Oltre a Lou, buon chitarrista, in quel gruppo di musicisti veri ce n’era solo un altro, John Cale, il polistrumentista che sbalordì tutti con la sua angosciante viola. Gli altri erano Sterling Morrison ed il suo basso ossessivo e Maureen Tucker, una delle prime batteriste donne del rock, grezza e primitiva. Quando Andy Warhol li notò, li prese immediatamente sotto la propria ala protettrice e li portò alla sua Factory, lo studio di Manhattan frequentato da tutti i maggiori artisti d’avanguardia dell’epoca. A quel punto arrivò Nico, la cantante tedesca voluta dallo stesso Warhol, che contribuì in maniera determinante ad accentuare l’immagine ambigua della band.
Per Velvet Underground & Nico, l’album d’esordio, ancora oggi considerato uno dei dischi più influenti di tutti i tempi, sono state usate tante etichette: rock sperimentale, proto-punk, rock psichedelico, rock&roll, pop-rock. L’iconica copertina, opera di And Warhol, nell’edizione originale presentava una inconfondibilmente allusiva banana rosa in bassorilievo, con la buccia gialla “sbucciabile”.  Nel gruppo, immagine a parte, Lou Reed era il tuttofare: autore di testi e musiche, chitarrista e cantante. Indimenticabili perle (Venus in furs, Sunday morning, All tomorrow’s party, I’ll be your mirror, Femme fatale, Heroin) erano divise tra la voce di Reed e quella di Nico.
Testi ambigui, malati, perversi, figli legittimi delle tenebre dell’ambiente underground di New York e di tutti i suoi vizi, parole che segnano un’epoca: “Stivali di cuoio lucidissimi, una ragazzina schiocca una frusta nel buio, accorre il tuo servo, non risparmiarlo, colpiscilo, padroncina, e cura il suo cuore. Morbidi peccati di piaceri sotto i lampioni della strada, alla ricerca di abiti da indossare, con una pelliccia di ermellino che l’adorna austera… Io sono stanco, sono esausto, potrei dormire per mille anni, e mille sogni mi risveglierebbero, con colori diversi fatti di lacrime”.
Un poeta del male abbinato a una musica spesso sinistra, con veri e propri manifesti tossici, a cominciare dall’incredibile inno mortale Heroin, ma che sapeva diventare dolcissima in un batter d’occhio, senza però mai smarrire quel perenne senso di ansia trasmesso anche grazie a testi che esprimevano tutte le inquietudini e i malesseri di una generazione nata durante la Seconda Guerra Mondiale, cresciuta nei bassifondi e che adesso viveva per le tentacolari strade della Grande Mela: “E’ domenica mattina, faccio entrare l’alba, ma è solo una sensazione di inquietudine che mi sta accanto. Albeggia presto la domenica mattina, ma sono solo gli anni sprecati che ti incalzano. Stai attento, il mondo ti è alle spalle e ci sarà sempre qualcuno intorno a te che ti chiama”.
Ma i Velvet, dopo essere stati il perno dell’Exploding Plastic Inevitable Show di Warhol, si sgretolano presto, dopo soli quattro dischi che saranno profondamente assorbiti da diverse generazioni di musicisti, fino ad essere riconosciuti tra i veri grandi ispiratori del fenomeno punk. Tracce di Velvet si trovano dappertutto, dal punk alla new wave, dalla psichedelia al noise, dal lo-fi all’alternative rock.
E qui ha inizio la seconda parte della carriera di Lou Reed, quella degli anni Settanta, nei quali entra con la carriera a pezzi e il fisico minato dagli eccessi e dalla droga. La scena underground ha ormai lasciato il posto al rock decadente, al progressive e ai suoi suoni elaborati, alle melodie sinfoniche e barocche:  ormai c’è poco spazio per i suoni grezzi dei vicoli della desolazione newyorchesi. Ma a dargli una salvifica mano accorre David Bowie, all’epoca incontrastato re del rock cosiddetto glam, quello del travestitismo e dell’ambiguità. Bowie, cresciuto con Dylan, Stones, Beatles e Velvet Underground, ha sempre considerato Reed alla stregua di idolo e non perde l’occasione: gli fa da produttore, lo aiuta nelle incisioni e gli modella un album, Transformer, che entrerà a far parte delle pietre miliari del rock anni Settanta. Pezzi tirati come Vicious si alternano a sublimi ballate che si chiamano Satellite of love e Perfect day, chiudendosi sulle note buie e saltellanti di Walk on the wild side, un film sulla vita di cinque travestiti, Holly, Candy, Jackie, Little Joe e Sugar Plum Fairy, personaggi bizzarri che se la sfangano nei meandri più oscuri dei malfamati sobborghi newyorchesi: “Holly viene da Miami, Florida, ha attraversato gli Usa in autostop e lungo la strada si è sfoltita le sopracciglia e si è depilata le gambe, diventando una lei, e ora dice ‘hey bimbo, facciamoci un giro nella zona selvaggia’. Little Joe invece non l'ha mai dato via gratis, con lui tutti devono pagare profumatamente,  una botta qui e una botta là, perché New York è il posto dove ti dicono ‘Amico, ci facciamo un giro nella zona selvaggia?’ Candy arriva dall'isola, e quando va nel retro lei è la ragazza di tutti, non perde mai la testa neanche quando lavora di bocca. Adesso è arrivato anche Sugar Plum Fairy, è in giro in cerca di cibo per l'anima e di un posto dove mangiare, poi è andato all’Apollo: avresti dovuto vederlo come ci dava dentro… Jackie invece si è riempita di speed, lei pensava di essere James Dean per un giorno e così ho capito che si sarebbe schiantata presto: solo il Valium l'avrebbe potuta aiutare…”
La carriera di Reed proseguirà tra tre matrimoni, due divorzi (la terza moglie, Laurie Anderson, anche lei musicista, gli resterà accanto fino alla fine) e tanti dischi, di cui alcuni ancora memorabili, tra cui vanno almeno menzionati Berlin, Sally can’t dance, Rock and roll animal, Coney Island baby, New York, Magic and loss. Nel 1990 esce Song for Drella, il tributo a Andy Warhol, da poco scomparso, inciso insieme all’altro ex-Velvet John Cale. “Drella” era l’eloquente soprannome con cui nell’ambiente era affettuosamente chiamato Warhol, metà Dracula e metà Cinderella, con evidenti riferimenti alle sue celebri attitudini notturne.

Lou era uno dei grandi sopravvissuti, uno dei pochi che aveva superato la dipendenza da eroina e si era disintossicato, arrivando completamente ripulito alla fase più matura della sua vita. Ma soprattutto resterà uno dei più grandi artisti che il rock abbia espresso, uno di quelli che hanno davvero contribuito alla crescita e all’evoluzione di una musica relativamente giovane ma senza confini.

antonio oliva 2013 per rivista cultura e dintorni

su di me

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Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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