Toni guardava fuori dalla finestra, ma non
vedeva niente: il suo sguardo era perso nel vuoto. Il rumore del traffico, il
rombo di una moto che di tanto in tanto percorreva il paese da parte a parte
giù sulla statale, lo schioppettare ritmico e regolare, simile al trotto di un
cavallo, delle auto che rimbalzavano sui dossi rallentatori nelle vicinanze. Di
cavalli neanche l’ombra, non si vedevano più in giro neppure asinelli, ce n’era
solo uno, di proprietà di un certo vecchietto che di quando in quando ancora
faceva la sua comparsa la domenica mattina in piazza, davanti alla chiesa. Non
c’erano i cavalli che trainavano le carrozzelle turistiche, non c’erano neanche
quelli delle corse clandestine. L’Agglomerato era lontano, lontano quasi come
il paese che Toni ricordava da bambino. Per un istante si ricordò di quel
bambino, vide la sua faccia e si spaventò, ma era troppo stanco per non
ricadere subito dopo in quel limbo psicofisico che chiamano stress.
Aspirò una lunga boccata dalla sua
sigaretta, distrattamente. Non era semplice concentrarsi, non era semplice far
nulla in quel posto dove non si aveva nulla da fare e mai il tempo per far
nulla. Cosa facessero i paesani tutto il giorno era un mistero per Toni.
Finalmente riuscì a concentrare lo sguardo su qualcosa: l’orizzonte, segnato da
tante lucine rosse intermittenti. Pale eoliche e pannelli solari dovunque.
Energia pulita, pensò, ed economica. Ma prima qui era tutto buio, vedevi solo
lucine lontane, bianche, gialle, verdi, e credevi fossero tutte case di gente
che ti vede come una lucina gialla. Non rimaneva che il filtro. Toni spense la
Marlboro al mentolo nel portacenere ricavato dal guscio di una noce di cocco
(in cui un tempo risiedeva un gelato al cocco).
Aveva scritto soltanto poche parole, poche
quasi come le ore passate seduto lì. L’elegante seggiolone in legno col cuscino
verde era diventata una sua appendice e lo controllava, impedendogli di alzarsi
quasi gli pesasse. Doveva andare in bagno ma non se ne curava. Continuava a
scarabocchiare disegnini inutili, o a fissare il pc, inerte, selezionando cose
a caso sullo schermo, un’occupazione del tutto pleonastica, tuttavia priva di
qualunque impegno.
Squillò il cellulare. Toni lo prese, lesse
il numero e abbozzò un mezzo sorriso. Tuttavia non sorrise, né rispose, né ebbe
altre reazioni, lasciando che il cellulare facesse da sé e smettesse di
suonare. Lo ripose nel porta-telefono a forma di pallone bianco e azzurro e si
mise a scrivere una parola, poi un’altra e un’altra ancora, tutt’a un tratto
pareva ispirato.
Trascorsi dieci minuti aveva scritto
qualche pagina, quando qualcuno citofonò. Si bloccò e rimase immobile, ma non
teso, solo fermo e in silenzio. Sembrava di nuovo scoraggiato come prima. Nuova
citofonata.
- Avanti, è aperto.
La porta si aprì e ciò che ne entrò non
venne accolto da Toni in modo festante. Il professor Scarlatti si tolse
l’impermeabile e lo mise sull’attaccapanni. I due non si guardavano e non
aprivano bocca, quindi Scarlatti si sedette di fronte a Toni ed esordì:
- Come andiamo?
- Non andiamo.
- In che senso? - chiese meccanicamente il
professore.
- Nel senso che oggi ho scritto solo un
poco.
- E va beh, meglio di niente… - sorrise
Scarlatti alzando in aria la mano destra come a dire “che te ne frega”. Si
sistemò gli occhiali. - Hai sentito dell’incidente?
Toni sgranò leggermente gli occhi. -
C’entri qualcosa?
- Per chi mi hai preso?
- Per Dante Scarlatti.
- Ah, allora siamo a posto. - rispose
l’altro, calmo. Ci fu un nuovo momento di silenzio correttamente interpretato
da Scarlatti come un’attesa. - Copiami tutto. - disse gettando sul tavolo un
driver usb. Toni eseguì senza fiatare. - Poi vado, - aggiunse il professore
accendendosi una sigaretta. - sono in piedi dalle 6 e ho un appuntamento.
Toni non chiese con chi era
l’appuntamento, gli scappò solo un piccolo cenno, come a dire “prego, fuma pure
nel mio piccolo studio in affitto dove veramente non dovrei fumare neanche
io!”. Ridiede l’usb a Scarlatti che se lo mise in tasca.
- Ora vado. Buon lavoro al mio artista. -
disse Scarlatti stringendo il polso di Toni. Quella mano minuta assomigliava a
una manetta. Toni fece un gesto distratto di saluto. Scarlatti riprese
l’impermeabile, lo indossò e uscì in strada con passo spedito e leggermente
baldanzoso, cosa che non sfuggì a Toni, il quale rimase dietro il suo
scrittoio, a fissare un virtuale foglio bianco, solo. Il sangue gli ribollì
nelle vene e gli venne voglia di imprecare e bestemmiare, al limite rompere
qualcosa, non dico sfasciare tutto, per carità, ma almeno spaccare un vaso, una
cosa così. Invece gli uscì solamente un insulto a mezza bocca. Era: -
Dannazione.
Il sole tramontava davanti a Toni in
direzione del mare oscurato dai monti violastri. Le nuvole producevano sbuffi
grigiastri sopra di essi, e più su ancora esplodevano in funghi atomici
rosacei. Davanti a lui si estendeva campagna a perdita d’occhio, solo alcuni
elementi gli ricordavano il secolo in cui si trovava: la grande soprelevata, la
grande fabbrica e le centrali eoliche. Diede un’occhiata al cellulare, una
boccata alla Marlboro Blend 29 e un pensiero a lei, e allora si ricordò di non
essere più bambino.
I paesini circostanti si abbarbicavano su
montagne e colline, vi erano arroccati o vi formavano graziose corone. Una
calda e leggera brezza estiva lo investì e l’ultimo sole lo abbagliò, ma
neanche tanto. Toni lo guardò svanire piano piano dietro l’orizzonte
frastagliato come non faceva da tempo. Un brivido lo investì, un brivido
subitaneo. Incredibile. Lui era uno scrittore, eppure quella era una situazione
così insolita per lui. Insolita come la lacrima che gli fece brillare un
occhio.
- Carissimo!
Il brivido era sparito e Rodolfo era
arrivato. Rodolfo gestiva il Senzatempo, il locale alle spalle di Toni. Il sole
non c’era più, il mare non si vedeva e lui non se lo ricordava quasi più.
C’erano i monti, la campagna, le luci, il burrone, la ringhiera, poi c’era Toni
alle cui spalle c’era Rodolfo e c’era il Senzatempo, c’erano il paese e la vita
di Toni, ma Toni era così in alto che poteva vedere per chilometri, e per poco
da dietro le sottili lenti transition non vide la sua vecchia vita.
Toni non sapeva se e cosa dire, e per uno
scrittore questo è veramente imbarazzante.
- Uè caro.
Meglio di niente, almeno non passò per
pazzo.
- Ti senti bene? - chiese Rodolfo. - Sei
paonazzo.
- Tutto bene, tutto bene. - rispose Toni
aggiustandosi gli occhiali. - Allora?
- Allora che? Tutto a posto, la data è
confermata, i musicisti pure, ci sarà un bordello di gente, come sempre del
resto: è agosto e tornano tutti qui.
- Tutti quelli che non ci vengono mai.
- Non essere così duro, Toni: ci sono
anche Natale e Pasqua.
Toni ridacchiò.
- Dai artista, ti ho fatto ridere! -
sghignazzò Rodolfo. - Sul serio, c’è qualcosa che non va? Come ti senti? Dimmi
la verità.
- Devo dirtelo, mi sento abbastanza bene,
davvero. Può anche darsi che sia il caldo, o che abbia bevuto più del solito, o
dormito di meno, onestamente non lo so. Ma me lo godrò tutto. - disse Toni.
Rodolfo lo amava, o lo sfruttava, o lo odiava, non ne era sicuro.
- Ti conosco da troppi anni. - disse
Rodolfo.
- Da troppi per pensare che te ne
approfitti. - fece Toni.
Una nuvola passeggera fece cadere sui due
amici poche gocce di pioggia di discrete dimensioni.
- Merda! - gridò Rodolfo. - E se piove?
Dai, no, non me lo può fare, mannaggia quel porco!
Non si è mai capito di quale porco si
tratti, perché i più timorati sostengono sempre di riferirsi al brutto tempo, i
più trasgressivi ad altro.
- Non lo sai che qua il clima è diventato
quasi equatoriale? - disse Toni accendendosi una sigaretta distrattamente con
due mani, riparando la fiamma dalla brezza. - Colpa dell’inquinamento forse, o
del riscaldamento globale. Della discarica. Che ne so.
- Scrivici qualcosa. - propose Rodolfo.
- No. Meglio di no.
- Ho capito. Come la vede un artista della
tua esperienza? - cambiò argomento Rodolfo, anch’egli provvisto di notevole
esperienza. Il locale già cominciava a riempirsi di gente in cerca di un
sostanzioso aperitivo. Rodolfo indicò un gruppetto che scendeva le scalette: si
dirigevano verso la loro postazione e parevano già alticci. - Sarà un pubblico
difficile?
- Non esiste un pubblico facile Rudy, è
già tanto se esiste un pubblico.
- Sei un grande, Toni. - disse Rodolfo.
Era quasi buio.
- Lo sei anche tu. Non è facile nemmeno
quello che fai qui.
Rodolfo gli mise una mano sulla spalla: -
A presto.
Non parlarono di soldi.
... Ti piacerebbe leggere il resto? Un po' di pazienza ;)
... Ti piacerebbe leggere il resto? Un po' di pazienza ;)
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