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- Finalmente Alessandro, eccoti.
Si alzò reverente, portando indietro la
sedia con la mano, come un marmocchio delle elementari quando entra il
direttore. Lo guardò e davvero non seppe che dire.
Conosceva da anni il professor Perone,
ciononostante non riuscì a capire cosa volesse da lui, perché l’avesse fatto
venire proprio quel giorno. Al telefono sembrava urgente.
Alessandro Pacella non sapeva cosa ci
facesse lì, né quel giorno né altri giorni. L’unica cosa che aveva sempre
saputo è che voleva fare l’insegnante, all’università, e gli piaceva la
filosofia fin dal liceo, fin dagli anni in cui i compagni gli affibbiarono il
soprannome Lex per via della precoce calvizie.
Conseguì la laurea triennale con una
media non brillante ma in compenso appassionandosi alla materia, entrando in
contatto con un sacco di gente e passando attraverso numerose esperienze. I
suoi vent’anni gli davano l’energia per studiare di giorno e vivere di notte e
metteva in tasca un esame dietro l’altro.
Il lieto fine, traguardo di tre anni di
studio, non fu che il preludio a una nuova iscrizione: corso di laurea
magistrale in filosofia morale. Un suo ex docente e ben presto ex amico gli
additò il maestro da seguire: il professor Perone, filosofo e pedagogo di
chiara fama. Fu per Alessandro l’inizio di una lunga e frustrante frequentazione
con l’immoralità della filosofia morale. Perone lo prese sotto la sua ala
protettrice, pretese da lui sempre il massimo impegno, che il ragazzo mai
lesinava, durante lezioni, seminari, barbosissime conferenze che vedevano il
nostro impegnato nella difficile impresa di tappare le sedie vacanti, invero
numerose, con il proprio deretano o con quello dei più pazienti amici e
parenti. Agli esami, lungi dal favorire il suo pupillo, pretese da lui il
triplo degli sforzi richiesti agli altri studenti, con i quali non era comunque
tenero, regalandogli un terzo delle soddisfazioni. Ma lui era il suo protetto,
proclamava il barone del pensiero disquisendo coi colleghi, influenzandone i
giudizi con la sua autorità.
Lex aveva perso la sua proverbiale
giovialità e la voglia di avventure, o semplicemente non ne aveva mai la forza;
peraltro il suo effettivo valore non era più chiaro nemmeno a lui. Riuscì
faticosamente a raggiungere l’ambito 110 cum laude finale e si disse che
finalmente il peggio era alle spalle. Avrebbe di certo raccolto il frutto di
tanta fatica e avrebbe cominciato la sua carriera accademica col dottorato di
ricerca. Inutile dire che i magheggi accademici lo vollero primo in graduatoria
dopo l’ultimo borsista. Che tradotto in italiano significava assunto per tre anni
a zero euro al mese senza alcuna garanzia per il futuro. Dovette anche
presentare sperticati ringraziamenti al professore, - perché sai, tu sei tu, ed
è stata un’impresa per me tenerti qua, e non mandarti da qualche collega,
perché sai, il paese è piccolo, la gente mormora… ma sai, io a te non voglio
rinunciare.
“Ma sai, perché rinunciare allo schiavo
gratis?” pensò allora Alessandro che cominciava a capire le regole del gioco,
ma non lo disse.
D’altronde, che colpa ne aveva? Suo
nonno zappava ancora la terra giù a Cerere, alle pendici del Monte, poco fuori
città. Certo, non viveva più del suo lavoro come un tempo, ma produceva un vino
prelibato e appariva molto più in forma del suo sgualcito nipote. A volte
Alessandro pensava alla nonna e se la immaginava ancora lì al casale, a
vegliare invisibile sul vecchio Pacella. A volte si vergognava un po’: aveva
sacrificato soldi tempo e gioventù, aveva dedicato tutto se stesso a rincorrere
il suo sogno, un sogno tutto sommato da bravo ragazzo, aveva rinunciato alle
vecchie follie e si era messo a tirare la carretta pesante su per la salita,
come diceva suo nonno. Ma dopo tanto sgobbare, cosa aveva in tasca? Chissà se e
quando avrebbe visto il primo stipendio.
- Che cazzo fate qua? È ancora aperto
questo cesso?
Alessandro abbandonò repentinamente le
sue riflessioni. Andrea Torti, l’uomo del popolo, aveva fatto evidentemente il
suo ingresso nello studio. Intendiamoci: l’uomo del popolo non è un incivile,
né tantomeno un ignorante. Andrea Torti veniva davvero da una famiglia
poverissima e si può dire che nell’accademia c’era praticamente nato: era
venuto al mondo una cinquantina scarsa di anni prima in una topaia di fronte
all’università. Un’intelligenza acuminata, una ferrea determinazione e un
carisma fuori dal comune l’avevano portato alla cattedra di letteratura
italiana ancora giovane, facendone l’affabulatore del giro. Gli studenti lo
amavano e le studentesse, pareva, pure. Alessandro aveva, come tutti, grande
stima di Torti, ne ammirava i modi sciolti, la personalità istrionica e la
lunga barba bionda e spesso confessava a se stesso di aver puntato sul cavallo
sbagliato, ma Se Stesso non lo stava mai a sentire perché aveva imparato a
neutralizzare di questi pensieri. Si grattò la testa.
- Ah, ma tu qua stai? Povero figlio, che
ne vuoi fare? - tuonò Andrea Torti guardando Stefano Perone con i suoi occhi
azzurrissimi, pungenti e inquisitori come un tribunale del popolo.
- Saranno affari miei, trovatene uno
tuo. - disse Stefano Perone sistemandosi una delle tre ciocche di capelli grigi
che gli rimanevano dietro la nuca, la quale era già perfettamente al suo posto.
- Tu qua dentro tieni i cinesi Stè. -
disse Andrea Torti mostrando un sorriso sotto i lunghi baffi a punta. - Sei un
bastardo capitalista borghese.
- E comunque, - disse Perone, ma dovette
sporgersi oltre la porta dello studio e alzare la voce perché l’altro aveva già
ripreso a incedere col suo passo spedito da galletto verso chissà quale nuovo
orizzonte. - “questo cesso” resta aperto un altro mese e mezzo!
- Buonaseraaa!
Si beccavano certo, ed erano diversi, ma
infondo li univa antica amicizia e stima reciproca, e anche la loro eterna
contesa politica era più leggenda che realtà.
Il professor Perone sospirò e si sedette.
Diede due o tre colpi alla scrivania con la punta delle dita, poi volse lo
sguardo assente su Alessandro. Era visibilmente sudato nella sua camicia a
manica corta.
- Allora, che dicevamo?
- Niente professore, mi ha fatto
chiamare per…?
- Ah, sì sì. - disse Perone. - Stai
studiando?
- Sì, certo, infatti stavo…
- Ma il pezzo lo stai preparando?
- Ma certo prof.
- Vedi che è importante, dobbiamo
parlare e… che ore sono?
- Le dodici e venti professore, devo
andare a studiare.
- Eh infatti. Senti Alessandro, io te lo
devo proprio dire: ma che diavolo hai combinato?
Lex cadde dalle nuvole. - Cioè? Cosa
professore, non… non capisco…
- Samantha! Cioè sì insomma, Fosfori
Samantha, primo anno, modulo monografico sull’abate Galiani. - disse Stefano
Perone, la cui memoria sembrava rinvigorire di colpo in vista di donne e
filosofi pervertiti. - Me l’hai bocciata!
- E dunque? - Alessandro aggrottò le
ciglia, visibilmente incredulo.
- Ma come dunque?! Non lo sai che
Samantha è amica della mia ragazza?
continua
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