parte 4
Elena
sedeva al pc: leggeva un articolo intitolato “Chi era Gianni Costa,
intellettuale raffinato e abile cuoco”.
“Dovrei
pensare ad altro ogni tanto, non far solo finta di farlo.” Almeno ora non
indossava maschere e si comportava nel modo che trovava più naturale. Boccata
di Marlboro. Citofono.
Si era
fatto tardi ed Elena non aveva pranzato. Il tramonto del sole dietro i monti e
le nuvole rosa e violetto aveva lasciato il posto a una tiepida sera d’inverno,
in cui le stelle brillano nel cielo nero. Solo qualche nuvola plumbea, un po’
di nebbia, la solita umidità. Gli abitanti di Noce non dovevano essere quasi
30.000 umani, ma altrettante raganelle per sopravvivere in quel posto. Pensando
questa sciocchezza, Elena si alzò distrattamente e si avviò con passo lento.
Non aveva idea di chi potesse essere, ma ciò non sembrava turbarla. Una visita
a sorpresa di mamma, pensò.
- Chi è?
- Apri,
sono io.
Il
citofono le cadde dalla mano, come pure la sigaretta, che le bruciacchiò appena
il pantalone della tuta nera, su cui lasciò un’invisibile striscia di cenere.
Rimase in piedi per quasi un minuto, ferma e muta, immobile. Non riuscì a
piangere. Aprì la porta. Una figura irriconoscibile saliva le scale.
Indietreggiò. Lo lasciò entrare e cadde sulla sedia della cucina.
Giovanni
Costa era lì, decisamente vivo. I suoi capelli biondi avevano lasciato il posto
a una cascata di capelli neri mossi, simili alla lunga barba scura. Indossava
una giacca a vento verde militare e un paio di jeans. Gli scarponi gialli e un
paio di occhiali a specchio dalle lenti rossastre completavano l’abbigliamento.
Gianni si tolse gli occhiali rivelando un paio di lenti a contatto azzurre che
coprivano le sue iridi verdi. Elena stava per svenire: se non conoscesse Gianni
così bene, non avrebbe riconosciuto i suoi occhi e la sua voce, le uniche cose
che tradivano una somiglianza di quell’uomo con il suo ragazzo. Lo guardò
meglio: era molto dimagrito.
Gianni
raccolse premurosamente la sigaretta dal pavimento e la spense nel portacenere
di vetro che era sul tavolo.
- Amore,
sono a casa. - disse calmo.
Elena si
lanciò su di lui stringendolo a sé e scoppiando a piangere. Pianse anche lui,
si abbracciarono a lungo. Lui tradiva una grande stanchezza, ma fece sedere lei
sul letto.
- Ma…
cosa, come?... - provava a farfugliare Elena, poi esplose: - Dicevano che eri
morto! - urlò.
- La
polizia ha troppe cose da fare e pochi mezzi per farle. Dopo un po’ non mi
hanno cercato più. - disse Gianni sollevandole gli occhiali per asciugarle il
viso tondo. Si guardarono negli occhi. Non dovevano aver dormito molto negli
ultimi tempi, era evidente, e quei pochi sonni non dovevano essere stati
tranquilli. I loro volti erano stressati, ma gli occhi di lui, come pure le sue
mani, sembravano provati da fatica e stanchezza, quelli di lei dalle lacrime.
Si fissarono concentrando in 7 secondi un film durato 7 meravigliosi anni, e
non di déjà vu si trattò, ma di allucinazione, un’allucinazione divenuta
piuttosto usuale in quei quasi 12 mesi di lontananza per ognuno dei due amanti.
- Dimmi
cosa è successo, dimmi cosa cazzo ti hanno fatto! - gridò Elena, toccandolo,
baciandolo: - Uh Gesù, Gesù, sei qui, vivo, tutto intero!!
Era fuori
controllo. Gianni le prese le mani, teneramente:
- Paolo
ti ha detto qualcosa?
- Ma che
mi doveva dire, - Elena abbassò il tono della voce, sforzandosi di ricordare la
conversazione di quella mattina. - ricordo qualcosa tipo “i miracoli non
succedono ma se succedono”!
- Uhm. -
Gianni si alzò in piedi per estrarre un modello di telefonino che ormai neanche
i vu-cumprà usavano più. Compose un sms: “I miracoli non succedono ma se
succedono. Complimenti per l’eloquio, ti avevo chiesto di prepararla!” e lo
inviò a Paolo. Risposta immediata: “Mi sei costato una ferita al culo, un
i-phone e un’eternità all’Inferno! Stronzo!” “Vaffanculo. A buon rendere.
<3”
Gianni
posò il residuato bellico che aveva in mano nella tasca. Si tolse la giacca a
vento rivelando una maglia scollata verde sotto una giacca verde militare alla
John Lennon. Si era preparato a questo momento per un anno e riuscì nella
difficile impresa di mantenere la calma.
- Amore,
sono tornato, sto bene, non era vero niente.
Elena
restò letteralmente a bocca aperta, incapace di qualunque reazione. Giovanni e
Paolo erano amici da quindici anni, erano stati compagni di scuola e ne avevano
combinate di tutti i colori. Ma una cosa del genere era semplicemente
incredibile.
- È
andata esattamente come credevo, anzi meglio. Per diventare un caso letterario
devi prima essere un caso umano. E questo vale per tutta l’arte, forse per le
arti figurative e la musica è ancora peggio. Per me la vita e l’arte sono
sempre state la stessa cosa, ma per diventare un artista ho dovuto rinunciare
alla mia vita, sono dovuto morire a 27 anni come un cazzo di Jim Morrison.
- No! Non
è vero, non è vero! - scoppiò a piangere Elena. - Dimmi la verità, cosa ti
hanno fatto? Tu sei stato rapito, eri morto, tu non sei più tu! - vaneggiò.
- Amore
della mia vita, ti ho mai detto una bugia?
- No, ma
sei sparito per un anno!
- E la
verità la sappiamo solo io, Paolo, e adesso tu.
- Il
rapimento?!... - continuò a protestare Elena. Gianni le si parò dinanzi e
cominciò il suo racconto:
- Non c’è
stato alcun rapimento. Abbiamo inventato tutto. Mentre loro cercavano nel
Distretto Meridionale, io salivo a nord. Immediatamente dopo essermi rasato
barba e capelli con la macchinetta di Paolo, e aver prelevato tutti i soldi,
sono andato nel Quartiere Balcanico, nel campo rom dietro le raffinerie.
- I
serbatoi?
- Brava.
Paolo mi aveva dato anche nuovi vestiti e un paio di occhiali scuri, ero
irriconoscibile. Il giorno stesso, chiesi un passaggio a due idioti e lasciai
l’Agglomerato. Tenere sotto controllo ogni strada è impossibile in quel posto,
come pure rendersi conto di ogni persona che entra o esce.
Elena non
credeva alle proprie orecchie. Gianni proseguì:
- Ho
vagato nelle campagne per un po’, quindi in un autogrill ho trovato il mio
uomo: un camionista diretto in Svizzera. Si vedeva lontano un miglio che era
alcolizzato, beveva continuamente, non credevo ci fossero ancora personaggi che
girano con i fischi di vino! Ho corso il rischio e mi sono fatto portare fino a
Losanna. Al confine nessun controllo né domanda: da quando sono entrati
nell’Unione è così. Ettore, l’ubriacone, invece parlava, gli davo tutte
risposte inventate che poi dimenticava. Intanto la radio ci aggiornava sul caso
Costa, se ne incominciava a parlare e io resistevo alla tentazione di ritornare
indietro.
- No… -
Elena fece un ultimo, disperato tentativo di resistenza.
- Sì… -
riprese Gianni, deciso a vuotare il sacco per intero una volta per tutte. - A
Losanna presi un autobus per Châtel-Saint-Denis, un paesino sul lago Léman,
canton Friburgo. Lì c’era l’unica persona che mi aspettava: Vic Leclerq, il
ristoratore di origini italiane per cui Paolo ha lavorato per anni. Gli
italiani fanno poche domande e lui aspettava semplicemente un amico di Paolo.
Ho vissuto per un po’ senza documenti, poi ti ricordi il viaggio di lavoro di
Paolo poco dopo il “rapimento”?
- Sì… -
disse Elena che cominciava a crederci.
- Era un
vero viaggio di lavoro, ma in città erano pronti i documenti falsi e Paolo li
portò a Châtel-Saint-Denis. Mi chiamo Frederick d’Antoni, ho quasi 28 anni… e
sono nato nell’Agglomerato, zona Centro Storico.
- Chi ti
ha dato i documenti?
- “Amici”
di Paolo. Gli stessi che hanno mandato l’email dalle Rampe di Nord per poi
distruggere quel pc rubato nella vicina discarica di Ponte Morto. Siamo stati
grandi, eh?
- Non è
possibile, perché non me l’hai detto?
- Non si
poteva fare, era troppo rischioso, non potevi recitare questa parte in modo
naturale per 12 mesi.
- Hai
fottuto il mondo intero e parli a me di rischio?!
- Non
potevo coinvolgerti in questo, era troppo pericoloso, cosa sarebbe accaduto se
ti avessero scoperto? Preferivo rischiare cento volte da solo che una in tua
compagnia.
- E mi
hai portato via un anno di vita, hai idea di come sono stata?!
- Lo so,
me l’ha detto Paolo e ho letto i giornali. Non si è parlato d’altro. Ora siamo
insieme, abbiamo tutta la vita davanti, e siamo due superstar. - Estrasse una
sigaretta dal pacchetto e la accese. Elena lo guardava come si guarda un
fantasma, come Penelope guardò Ulisse alla fine di un epico, fantastico
viaggio.
- Come
hai vissuto?
- Con i
miei pochi soldi, ho fatto il lavapiatti da Vic. - Gianni era pelle e ossa.
- Hai
avuto altre donne?
- Beh sai
baby, le svizzerotte…
-
STRONZO! - esplose Elena, lanciandogli dietro il portacenere che andò in
frantumi. Era incredibile come questa fu l’unica cosa uscita dalla bocca di
Gianni a cui certamente non credette, era incredibile quanto i due si amassero
e quanto, nella collera, lei fosse felice nel sentirsi chiamare di nuovo in
quel modo. Non riuscì a fermare la sua mano che assestò uno schiaffo rumoroso
sulla guancia di Gianni.
- So che
mi perdonerai.
- Sei un
bastardo egoista! - singhiozzò Elena, ricadendo a sedere sul suo letto.
-
Guardati intorno. - disse Gianni allargando le braccia. - Questa casa, la
macchina… come avrei potuto farlo, da vivo?
-
Preferivo stare con te sotto un ponte!
- I miei
come stanno? - cambiò argomento Gianni. Una reazione del genere era
comprensibile e lui, al contrario di lei, era preparato.
- Bene,
per quanto possibile! Sei un pazzo! Il tuo ultimo libro, che ho assemblato con
l’editore, è stato pubblicato dalla prima casa editrice del Paese, ma sono
sicura che lo sai già. Non sappiamo cosa farcene di tutti i soldi che stai
facendo, io neanche volevo farle queste cose, ma gli editori…
- Invece
volevi, perché ti piace, ero sicuro che l’avresti fatto. Certo, devo dire che
questa storia è andata oltre le mie aspettative. Mi conosci, non l’ho fatto per
i soldi.
- E
allora perché? - gridò Elena, e bestemmiò.
Gianni
fece segno di abbassare la voce.
- Ho
sempre voluto essere una statua del parco comunale. È bellissimo. C’era solo un
problema: prima avrei dovuto morire. Li ho fregati.
Elena lo
guardò negli occhi. Lo conosceva troppo bene per non sapere che era proprio
così: l’aveva fatto per diventare un autore famoso e stimato, che aveva
pubblicato in vita un solo libro e in morte chissà quanti altri, tutti
best-seller. Così va il mondo: ti permettono di fare carriera quando sono
sicuri che non potrai goderne e che non ti servirà assolutamente a niente, e
sui social network tutti fanno a gara a pubblicare le tue foto, i tuoi versi e
la scritta “Ciao Gianni… <3 RIP :’(“.
Cominciarono
a ridere. Elena si buttò su di lui, colpendolo e insultandolo. Gli pareva un
altro, eppure sentiva di aver ritrovato la parte più familiare di sé. Gianni si
difese come poté, non era molto in forma. Cominciarono a baciarsi, a toccarsi,
dopo quasi un anno fecero l’amore, poi di nuovo, la terza volta distrussero un
comodino e ruppero uno specchio, risero sei 7 anni di guai, che considerarono
già scontati, poi crollarono sul letto, nudi, senza coperte, abbracciati,
gemendo e piangendo.
Gianni si
accese una sigaretta, l’ultima. Il portacenere non c’era più. Spense la cicca
nel pacchetto che scaraventò via, poi guardò il soffitto e si addormentò. Gli
parve di non dormire da un anno.
L’indomani
mattina la coppia si svegliò felice e incredula. Avevano sognato quelle che
fino ad allora erano state le loro realtà: Elena il rapimento, mai avvenuto,
Gianni la Svizzera. Prepararono la colazione semivestiti. Morivano di fame.
- Come
sei tornato?
-
Autobus.
- Ti
piace la casa?
- Sì, ma
devi smetterla di lasciare le chiavi sotto lo serbino.
- Come
fai a… - Elena lo guardò. - Sei stato qui?
- Mentre
eri in città. Ottimo bourbon.
- Era
tuo.
- Lo so.
A te non piace molto.
Elena era
ancora sconvolta, a differenza di Gianni, e finalmente non doveva più
nasconderlo. Si rabbuiò e chiese: - Lo dirai ai tuoi?
- Credo
di sì, e anche ai tuoi, poi basta.
- Hai
detto due superstar. - Elena gli puntò l’indice contro. - Non solo non sei una
superstar; non sei proprio nessuno. Qui l’unica superstar è un morto. - Era
quasi eccitata dall’essere tutt’a un tratto complice dell’uomo che amava in una
faccenda simile.
-
Rifletti: - Gianni si sedette a tavola e accavallò le gambe. - fama o non fama,
il mio modo di scrivere è sempre lo stesso, con le sue naturali evoluzioni
cronologiche: sono sempre io. Molti inediti che ti ho lasciato sono finiti
nelle ultime tre raccolte: hai ancora qualcosa. Aggiungici la produzione
svizzera: puoi farci un altro libro. Io continuerò a scrivere, giusto? - Elena
ascoltava, aveva ancora un po’ di paura, ma adorava quell’uomo, anche se non lo
aveva creduto capace di tanto. Annuì rapidamente, anche se la domanda era
retorica. - Nessuno conosce esattamente la quantità dei miei inediti, ero certo
della tua discrezione: sei stata bravissima. Quindi, abbiamo materiale
potenzialmente illimitato. E poi, chi è quel bel moro tenebroso con cui si vede
ultimamente andare in giro Elena Pedicini? - Gianni fece un sorriso enorme dei
suoi, un sorriso semplicemente diabolico. - Uno scrittore dell’Agglomerato,
coetaneo di Gianni Costa, che adora e di cui diventerà l’emulo. Non ho ancora
deciso se i due si erano conosciuti… - Gianni rifletté un secondo, poi: - No,
meglio di no, - decise. - …voglio dire, questo tipo salta fuori solo adesso!
- Ma ti
senti quando parli? - esclamò Elena tornando per un attimo coi piedi per terra.
- Ti rendi conto che non sei Dio? Quando ti fermerai?
- Sono
già fermo. “Dio è una donna, / la Donna sei tu.” - sorrise Gianni, citando una
sua poesia d’amore che ovviamente parlava di Elena e che aveva conosciuto
particolare fortuna tra i giovani negli ultimi tempi. - Tutti la dedicano alla
fidanzata, ma sei veramente tu… come potevo riuscirci? - ritornò a dire, e
questa volta Elena non seppe rispondere.
Lo
abbracciò: - Eri bravo lo stesso, non ce n’era bisogno… e quella ero lo stesso
io, anche se non la conosceva nessuno… eri un giovane scrittore emergente di inizio
millennio, ti avevo promesso che ce l’avresti fatta comunque, e poi non eri
propriamente un signor nessuno, avevamo conosciuto sprazzi di notorietà, con le
nostre sole forze!
- Tesoro,
conducevamo una vita bohèmienne e percorrevamo una sfiancante gavetta senza
fine! Sì, hai ragione, ma ho forzato la mia “emersione”. Ora dobbiamo solo
stare un po’ attenti, ma ce l’abbiamo fatta. Secondo Murger la Bohème è quella
breve parte di vita in cui sei giovane, affamato e sconosciuto, la quale lascia
poi spazio alla vita vera coi suoi riconoscimenti e imborghesimenti. “La
giovinezza non ha che un tempo…” - recitò. - Io, amore, lo sai, sono un
“completista”, che in inglese è poi il collezionista. La mia collezione è la
mia vita, e ci deve essere tutto ciò che desideriamo: Bohème, riconoscimento e
felicità. È così che si rimane per sempre giovani.
- Questa
di chi è?
- Gianni
Costa, Frederick d’Antoni, Rod Stewart, che ne so! Elena, perdona il mio unico
inganno, ma era necessario! Oggi sei qualcuno solo se stai nell’occhio del
ciclone quotidiano dei massmedia e dell’isteria collettiva… ricordi il caso di
quella scrittrice dell’Agglomerato, Elena Ferrante? Nessuno sa chi è e si
azzardano le ipotesi più incredibili, voglio dire, la gente va domandando agli
scrittori maschi “Scusi, lei è Elena Ferrante?” Una volta qualcuno aprì un
discorso dicendo: “Io non sono Elena Ferrante!”
-
C’eravamo a quel convegno, tutto questo è pura follia.
- Sì, lo
è, come la vita e come l’arte, che sono la stessa cosa. Oltre questo, non c’è
nulla, neanche il nulla che già sarebbe qualcosa. - disse imitando Jean Reno in
La tigre e la neve di Roberto Benigni, mentre finiva di mangiare e si
rivestiva.
- Adesso
mi dici dove andiamo, Fuad? - sorrise Elena chiamandolo col nome del
personaggio di Reno. Amavano molto quel dolce film.
- Andiamo
al bar, naturalmente. Quasi quasi lo direi a Generoso, ma non posso: domani lo
saprebbe tutto il paese!
continua...