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- Guarda l’Isola.
- È bellissima.
Il sole tramontava e le nuvole erano
rosa e il cielo violetto.
- Sai che lassù c’è un castello? Un giorno
ti ci porto.
- Magari.
Il mare era una tavola nonostante la
brezza autunnale. C’era gente che passeggiava, ragazze in rollerblade e ragazzi
sullo skate che si atteggiavano a gang del Bronx. Ma era solo il solito Agglomerato
che faceva promesse che non poteva mantenere, che vedeva volgere al termine un
altro giorno e svegliarsi un’altra notte. I ragazzi diffondevano musica e
sfoggiavano undercut all’ultima moda straniera. Tatuaggi, canottiere e shorts
anche se cominciava a fare freddo: ognuno doveva apparire più focoso dell’altro.
Ma non c’era il Bronx, e neanche qualcosa di simile: il Lungomare è una zona
piuttosto in.
- Domani quando vai in ufficio?
- Che ne so. Quando voglio. Come al
solito. - Sorriso.
- Bene. Andiamo al cinema.
Patrick aveva i capelli corti e scuri e
mossi, pettinati di lato con un po’ di gel. La camicia aperta, il maglione
sulle spalle e un filo di barba, ma sulle guance no. I costosi jeans non
raggiungevano i suoi malleoli e i mocassini marroni erano tristemente orfani di
calzini.
- Lo sai che mi annoio. - sbuffò. – Mica
è Natale.
- Mica è il circo. È il cinema. Ora escono
i film più belli.
- Mh.
Eleonora non si sognò di nominare il
teatro come avrebbe voluto. “Che cazzo blateri a fare di isole e castelli se
poi devi uscirtene sempre con queste idee da zotico?” Lei era splendida come il
giorno prima e quello dopo e quello dopo ancora. Capelli biondi al vento
protetti dal baschetto nero, guance morbide come un marshmallow, rossetto
scarlatto sul sorriso svanito. Indossava un vestitino bianco e nero stretto in
vita che terminava in una gonna ariosa decisamente retrò sopra i sandali con un
leggero tacco. Le calze color carne e il coprispalle la proteggevano dalla
stagione fredda che stava arrivando.
- Va bene. Allora scegli tu.
- Ape?
- Ok. - fece lei, trattenendosi dal
rispondere “Maya”.
- Vieni, ti porto in Riviera. - disse Patrick
piuttosto teatralmente cominciando a camminare come se fosse già entrato in un
locale per ricchi.
Eleonora si accese una sigaretta.
- Ti fa male.
Eleonora buttò meccanicamente la
sigaretta intonsa tra gli scogli su cui le onde placide si infrangevano piano
con rumore rilassante, regolare, rassicurante. Tutto ciò che lei non era.
- Andiamo.
- Sì. Comunque sono stata bene. – disse Eleonora
cercando di sciogliere i nervi, ed era sincera.
- Anch’io. - Il suo principe la baciò.
Il venticello agitava vistosamente le
cime degli alberi sulla villa comunale ora. I bambini giocavano, le biciclette
passavano, si stava molto bene senza macchine e col bike-sharing. Turisti,
pescatori e grandi imbarcazioni all’orizzonte: tutti sembravano voler
veleggiare lontano da quella città ora così apparentemente tranquilla, e
accendevano le luci a bordo.
Costeggiarono il lungomare e fecero per
attraversare in direzione della piazza.
Una bimba se ne stava tutta sola spalle
al mare, sporca, scarmigliata, con indosso vestiti a casaccio e un volto
inespressivo.
- Guarda. - Il tono di Patrick era tra
lo sprezzante, il pietoso e il non realmente interessato. - Stai seguendo?
Quando la smetteranno?
- Quella è rom, non c’entra niente. Tu stai
seguendo?
La risposta non ci fu, ma tutti la
conoscevano.
Drin.
Drin.
Drin.
Si udì solo questo, e poi un botto
sordo, quasi un’esplosione.
La mattina seguente Gennaro Brighi, uno
degli imprenditori più affermati dell’Agglomerato, non vide il suo rampollo
Patrick presentarsi in azienda, al mobilificio Brighi, a che ora voleva lui, né
vide i suoi mocassini né i suoi calzini, che comunque non ci sarebbero stati, perché
in quel tardo pomeriggio di novembre Marino Pappalardo, l’affermato scrittore
dell’Agglomerato che non scriveva più, armato di canottiera, zoccoli, costume
da bagno, molla per i capelli e soprattutto di bicicletta noleggiata gratis,
con lo sguardo fisso sul bersaglio e senza alcuna espressione sul volto, nel bel
mezzo del viavai del Lungomare, lo aveva investito a tutta velocità.
Il ricco rampollo giaceva a terra, e il
terrore e la sorpresa erano forse più grandi del dolore provocato dalla botta
pazzesca al fianco, la spalla lussata e i jeans strappati. Marino era atterrato
in piedi, con la bicicletta in mano. Eleonora era sotto shock, come anche il
resto degli astanti. Solo la bambina sembrava non aver notato nulla di strano. Nessuno
proferiva parola. Improvvisamente Marino vide la bambina.
- Ancora? - disse con fare di
rimprovero. - Quando la smetterai?
La sistemò sul sellino. - Sbrighiamoci che
mi scade il tempo.
La strana coppia sfrecciò verso la Zona Est
tra la folla allibita. La ruota davanti era storta, ma i due arrivarono a
destinazione, la bici fu resa in tempo e non ci furono lamentele perché il
Comune ha sempre altro a cui pensare.
continua...