Nanni Moretti lo conosco poco e non lo seguo. Mi consigliarono
Bianca, lo vidi e non mi piacque, poi vidi Habemus papam e mi piacque. Divide le
folle in morettiani e anti-morettiani, e, come sempre (non solo, ma in
particolare) in questo dannato Paese, la scelta di campo è anche politica. Io
non me ne frego niente e vado a vedere Mia madre al Modernissimo perché chi mi
conosce sa che ho il bisogno fisico di andare al cinema una volta a settimana e
il mercoledì si paga 4 €. La locandina l’avevo vista in giro e ho sorriso
pensando alle implicazioni freudiane del titolo. Il Modernissimo mi piace e
fosse per me starei sempre là. I film italiani tristi e impegnati, con la sala
occupata (almeno nelle mie zone) da quattro spettatori, due dei quali hanno
conosciuto Garibaldi, non me li perdo. Ma quando esco, non penso che per
fortuna sono andato al cinema, né che sono andato al Modernissimo, né ai vari
Caimani, Berlusconi, girotondi, “non-parlo-di-cose-che-non-conosco” e
abusatissimi “le-parole-sono-importanti”, praticamente tutto ciò che di Moretti
si sa e si dice continuamente, di sicuro anche mentre scrivo. Penso: Madonna
che film. Bellissimo. Mi è piaciuto un sacco.
Non me lo aspettavo, semplicemente. Mi spiego: lungi da me
pensare che Moretti sia un incapace o un genio contemporaneo, già l’ho detto. Però
tanti altri registi (e attori) li seguo di più, da anni non perdo un film di
Virzì, Placido, Sorrentino, Garrone. Se Pupi Avati avesse fatto questo film (e
non credo lo avrebbe fatto), avrei pensato semplicemente “Bello.”, cosa che ho fatto
dopo il suo ultimo lavoro, Un ragazzo d’oro. Mia madre invece mi ha proprio
conquistato dalla prima all’ultima battuta, e magari succedesse tutti i giorni.
Dimentichiamo tutti i luoghi comuni su Moretti (“è pesante, politicizzato e non
sa recitare”) e parliamo di questo film, immaginando di essere il Critico
Influente di murgeriana memoria.
La spettacolare Margherita Buy interpreta una regista la cui
madre sta morendo. L’irresistibile John Turturro è il (sedicente) divo americano
sbarcato nel Bel Paese per lavorare con la cineasta, che si chiama proprio
Margherita. Ada, la madre del titolo, è Giulia Lazzarini, che non conoscevo e
di cui dirò più avanti. Completa il cast degli attori principali lo stesso
Moretti che interpreta il saggio fratello della protagonista. Anzi no, c’è Francesco
Brandi. Si vede che mi piace Pupi Avati? Comunque, molto si sta insistendo in
queste ore sul fatto che il “narciso” Nanni abbia messo il suo nome dietro a
quello degli altri tre attori.
Margherita è una donna matura, è separata, ha una catastrofica
liaison e una figlia, Livia, che va male al liceo. È chiaramente l’alter ego brechtiano
di Moretti: lavora come una matta per portare a termine il suo film impegnato e
vive una crisi sobria, discreta, delicata, priva della carica aggressiva e
delle asprezze verbali tipiche di Moretti. Mi è parso un personaggio remissivo che
vive tormentando prima se stessa e poi gli altri (il segreto del successo);
quando glielo fai notare non ti ascolta, poi un bel giorno, accusata dal
compagno, si ferma e fa: “Hai ragione. Perché nessuno me l’ha mai detto?”
Trascina il suo corpicino tra i set, le conferenze stampa, l’ospedale, le abitazioni,
ammirata da tutti e sola, con quei grandi occhi sofferenti e quel triste
sorriso a metà che ricorda i personaggi di Verdone. È ossessionata da incubi
allucinanti che, insieme alla colonna sonora, contribuiscono a creare un’atmosfera
tesa e surreale.
Turturro è la vena comica del film, comunque secondaria ma irrinunciabile.
Più dedito alla ricerca della mitica dolce vita romana che a imparare le
battute, si inventa film con Kubrick mai girati, non sa l’italiano, prende
tutti per il culo e dopo una lite con Margherita sbotta e si sfoga sul set,
salvo poi fare marcia indietro e finire il film. Spassosissime le parti con il
suo puntiglioso interprete.
Detto questo, la Lazzarini è fantastica. Una anziana
professoressa che affronta il decadimento fisico e la morte con l’incoscienza e
la leggerezza di chi non sa, e meno male. I flashback ossessionano Margherita: si
vede giovane ritornare a casa e accucciarsi sul letto accanto alla madre che
dorme da sola; la rimprovera perché si ostina a guidare senza rinnovare la
patente e senza fermarsi prima di andare a sbattere, finché per disperazione le
sfascia la macchina di cui è tanto orgogliosa; la vede assorta: “Mamma… a cosa
pensi?” “A domani.” La signora Ada cerca di andare in bagno. “Prendo la
carrozzina” le dice Margherita. “No no, ce la faccio, aiutami solo un po’…” Ma
non ce la fa. “Margherita, prendi la carrozzina. Non ci riesco.” A quel punto la
Buy ha una crisi di nervi e cerca di trascinare la madre nell’ormai
insormontabile impresa di muovere tre passi. Non sopporta l’idea che questo non
sia più possibile. E forse adesso la lascerebbe guidare un’ultima volta.
Seguiamo Ada nelle sue ultime passeggiate all’aperto,
purtroppo immaginate; nelle ostinate ripetizioni di latino, un occhio alla
nipote e uno alla bombola di ossigeno. Il lavoro, il vitalismo, l’ambizione, il
cinema, l’impegno non valgono più niente, la tragedia è intima e riguarda
tutti. Perfino l’ingegner Giovanni (Nanni Moretti) si licenzia dall’azienda per
cui lavora per star vicino alla madre. Margherita si illude, Giovanni la
riporta alla realtà. Il film impegnato viene pure male, le mazzate della
polizia ai manifestanti sono farlocche. La Buy si sgola: “Cerca di darmi,
accanto al personaggio, anche l’attore, cioè te stesso.”, ma anche Turturro: “Take
me back to reality!” L’illusione si spezza: il set è finto e non c’entra niente
con la vita vera. In una delle tante allucinazioni, Margherita cammina e
percorre a ritroso la coda all’ingresso di un multisala. Probabilmente danno un
suo film, probabilmente quello a cui sta lavorando, con la fabbrica che chiude,
gli operai, i padroni e tutto il resto. Sente le loro voci: “Dicono che questo
film sia molto bello.” C’è Ada. Si salutano. Una coppia discute di cinema. Margherita
si sveglia e non sa come affrontare le giornate di ciack e tracheotomie. Perfino
i promoter dell’energia elettrica la evitano. Ma d’altronde, cos’è vero e cosa
fasullo?
La Lazzarini ci restituisce un’interpretazione sincera,
intensa, è il caso di dire toccante. La vecchietta che ancora ce la mette
tutta, parla del più e del meno, si scorda le cose, si annoia davanti agli
amici che rivangano continuamente il passato e va verso la fine mi ha commosso.
“No no, la prossima volta porta il mio vocabolario,” dice la nonna dal cuore
grande e debole. “e ricorda: l’importante è non tradurre i verbi con la prima
parola che trovi.” I genitori comprano a Livia l’agognato motorino e le
insegnano anche a pilotarlo: ci piace pensare che sia stata promossa. La mens non si arrende ai limiti del corpus: “E adesso, dove andrà a finire
Tacito? Tutti quei libri, tutto quello studio, tutto quel tempo…?” Alla fine, il
padre stringe Livia nell’alba fosca e Margherita accarezza i freddi volumi
sulla scrivania. Per fortuna il tragico si trascina sempre dietro una goffa
ombra e Turturro, coi suoi baffi finti che lo fanno assomigliare a Beppe
Fiorello in una fiction Rai qualunque, balla con una cicciona in mezzo alla
troupe per festeggiare il suo compleanno italiano.
“Dicono che questo film sia molto bello.” Sì, lo è. Perché il
Critico Influente altri non è che un utente che non trova mai il tempo per
scrivere e che da oggi in poi seguirà Nanni Moretti.
Conigli per gli acquisti:
-Nanni Moretti, vedi: Habemus papam
-Margherita Buy, vedi: Maledetto il giorno che t’ho
incontrato
-John Turturro, vedi: Passione
-Francesco Brandi, vedi: Un matrimonio
antonio oliva 2015, scritto a napoli il 23 aprile nella stessa stanza di
ad maiorana, in un paio d’ore comprendenti caffè e assistenza nella
preparazione della cena