In molti lo giudicano un tipo decisamente strano. Gli hanno dato del drogato, lo hanno chiamato “comunista” e “venditore di parole”. Qualche politico di destra si è detto sicuro che in un paese normale non avrebbe mai venduto dischi. In compenso, qualche militante di sinistra lo ha accusato di dare aria ai denti senza fare nulla per cambiare la situazione.
In realtà Caparezza è soltanto un cantautore. I suoi arrangiamenti frequentano i generi più disparati, dal rock al reggae alla orchestrale, e troppo spesso lo si è bollato semplicemente come “cantante rap”. Il suo forte sono i testi: è infatti dotato di una non comune creatività che ci regala una parola tagliente, veloce, dissacrante, perfettamente inserita in un sistema coerente di richiami, rime, assonanze. Può passare con nonchalance dalla citazione dotta allo slang meno letterario che si possa immaginare. Tutti lo conoscono per Fuori dal tunnel e molti sostengono che abbia scritto solo quella. È ingiustamente noto più per i suoi capelli che per altro. Ma cosa c’è dietro i capelli?
In questo breve excursus non si parlerà di quand’era Mikimix a Sanremo giovani, né di quando decise di demolire dall’interno la musica hip-hop raggiungendo un largo successo, né del fatto che “Caparezza” significa “Testa riccia”. Esamineremo invece qualche aspetto particolare delle liriche di Michele Salvemini, nato a Molfetta (Bari) nel 1973, uomo autoironico e autore dannatamente bravo.
Caparezza ha pubblicato nel 2008 “Saghe mentali” (Rizzoli, € 19). È un’autobiografia decisamente sui generis, come del resto tutte le produzioni del nostro autore, ma ottima per districarsi in una imponente selva di parole in cui rimangono sovente angoli oscuri. Il primo disco esce nel 2000 e non incide molto. Emblematico il titolo: ?! Si tratta di canzoni abbastanza scolastiche in ognuna delle quali l’autore dice la sua su un grande tema (la maternità, la guerra, la violenza). Le più belle sono Mea culpa (Mikimix diventa Caparezza e fa ammenda a proposito del capitolo appena concluso, in cui veniva sfruttato e plagiato da discografici-barracuda), Chi cazzo me lo (un’esilarante satira sui giovani e i loro “divertimenti forzati” in discoteca, al concerto gotico, allo stadio), La fitta sassaiola dell’ingiuria (con la scusa dei… capelli, Caparezza inserisce la voce campionata di Confessioni di un malandrino di Branduardi, il quale comparirà a sorpresa durante un concerto per duettare). Ti clonerò e Mi è impossibile parlano addirittura d’amore. Un disco, insomma, che non lascia il segno, ma che rappresenta l’inizio del viaggio.
Nel 2003 Caparezza compare in tv e i più restano scioccati e lo prendono per pazzo perché il Nostro si dimena cantando Fuori dal tunnel, altra parodia giovanile dal testo stavolta piuttosto enigmatico (il “tunnel” è il divertimento, non la droga!). Arriva la notorietà: l’altro singolo è Vengo dalla luna, un pezzo sulla tolleranza. Il disco si chiama Verità supposte ed è dedicato alla relatività di ogni dettame. Imperdibili Follie preferenziali (sul pacifismo), Giuda me (la Questione Meridionale diventa un duetto virtuale con Totò), Dualismi (riprende la poesia omonima del poeta scapigliato Arrigo Boito), L’età dei figuranti (sulla tv), Nel paese dei balordi (“Le avventure di Pinocchio” riadattate ai giorni nostri), Il secondo secondo me (tutta basata su frasi retoriche), Limiti (sulla nostalgia), Nessuna razza (vera e propria dichiarazione di non-appartenenza) e soprattutto Dagli all’untore (Caparezza cita Manzoni e diventa un diabolico untore che diffonde l’epidemia della sua satira). Le liriche sono già geniali, gli arrangiamenti molto belli. Insomma, il suo migliore album.
Nel 2006 ci sono le elezioni politiche e Caparezza esce con Habemus Capa, da lui stesso ribattezzato “L’opera tronfia”, il suo disco più politico. Nel libro, l’autore si traveste addirittura da Dante e ci guida, canto dopo canto, alla scoperta di un inferno terreno e contemporaneo. Salvemini prende finalmente posizione, e non poteva fare altrimenti: nel primo album si riteneva “troppo alternativo per la destra, troppo posato per la sinistra” e sceglieva la via di mezzo, ma la situazione nazionale e trascorsi personali con i leghisti (era andato al Nord per studiare) portano a Inno verdano (ridicolizza Lega e razzismo), Gli insetti del podere (il suo capolavoro testuale) e Ninna nanna di Mazzarò. Nell’una l’Italia intera viene trasformata in un podere in cui vige l’occulta dittatura del ragno e delle sue tele(visioni). Il protagonista non cambia nell’altra, ispirata a una novella di Verga del 1880: Mazzarò accumulò tutta la roba possibile, poi si rese conto che non poteva avere la vita eterna e, impazzito, cominciò ad uccidere il suo pollame per portarlo con sé nell’aldilà. Nel libro Caparezza dedica questi e molti altri brani ad una persona di cui non ricorda il nome... Il disco è un concept album: l’autore inscena il suo funerale (Annunciatemi al pubblico) e finge di reincarnarsi in corpi diversi finché alla fine non ritorna in sé (Habemus Capa). Nel frattempo, ce n’è per la società frenetica e consumistica che si sta autodistruggendo (Torna Catalessi, Epocalisse), il politico-matador ucciso dal popolo-toro (Dalla parte del toro), l’intolleranza (la celebre La mia parte intollerante), chi non si schiera mai (Il silenzio dei colpevoli), la tv (The Auditels family, Ti giri), amori effimeri di celebrità usa e getta (Felici ma trimoni). Il gioco di parole si fonde coi soliti ritornelli orecchiabili e con un arrangiamento musicale meno elettronico e più rock, con maggiore partecipazione della band che accompagna Caparezza.
Il 2008 è l’anno di un nuovo concept album: sono passati quarant’anni dal 1968 e la società ha vissuto una paurosa involuzione. Caparezza si avvale di doppiatori professionisti e costruisce la storia di una giovane hippy che si ritrova catapultata nell’era di Facebook: è simile a lui e i due si innamorano, ma lei viene immediatamente corrotta dalla nostra società e regredisce. Nel 2000 Caparezza voleva stare “tra gli uomini di molta fede”, poi si rende conto che “nemmeno Geova mi vuole come suo testimone” e che “chi si crede Dio pecca di immodestia”. In Non mettere le mani in tasca la Chiesa ha il controllo della società: il testo è spettacolare. Il disco è famoso per Vieni a ballare in Puglia, che non è, come si crede, un gioioso tormentone estivo, ma una denuncia di paurose realtà della provincia dimenticata del nostro Sud. Caparezza prende simpaticamente in giro Al Bano, che ha partecipato al videoclip. Si parla molto delle morti bianche (Eroe), ma anche di abusi edilizi (La grande opera), revisionismo (Pimpami la storia), emergenza rifiuti (con semplicità quasi infantile in Cacca nello spazio, con orrore in Il Circo delle Pantegane), maschilismo (Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti). Io diventerò qualcuno si riferisce al fu “Partito dell’Uomo Qualunque”, trasformato nel “Fronte dell’Uomo Qualcuno” in cui ognuno è una celebrità. Alla fine c’è Bonobo Power: “la scimmia è l’evoluzione dell’uomo”, “è una pericolosa alternativa sociale” e “non va al Family Day”, “alla faccia di religiosi, intellettuali e politici benpensanti”. Un disco molto bello, supportato da nuovi arrangiamenti che a volte sconfinano nell’heavy-rock.
Il sogno eretico è appena uscito, accompagnato dalla prima raccolta (Epocalisse) e da una serie di brevi sketch che girano online (“The Boias”). L’ironia dell’artista è diventata polemica aperta e violenta. Questa volta il bersaglio principale è una Chiesa inquisitoria che narcotizza le coscienze e brucia gli oppositori sul rogo. Vengono scomodati Giordano Bruno (“Dio mi ha dato un cervello, se non lo usassi gli mancherei di rispetto”), Giovanna d’Arco, Galileo e Savonarola. In Messa in moto Caparezza diventa addirittura Dio e rivolge una preghiera all’uomo! Alla situazione socio-politica nazionale Caparezza dedica Goodbye Malincònia (si parla di emigrazione tra una nuova citazione del Sommo Poeta ed un duetto con Tony Hadley degli Spandau Ballet), Non siete Stato voi, Legalize the premier, La marchetta di Popolino (con la fin troppo facile allusione a Walt Disney), La ghigliottina (sulla rivoluzione impossibile) e Cose che non capisco (per chi gli risponde: “Ti fai troppi problemi Michele, non te ne fare più”), in cui si può ascoltare un estratto del film “Sogni d’oro” di Nanni Moretti (1981). La fine di Gaia rassicura tutti sul 2012; Tutti dormano e Chi se ne frega della musica riprendono un filone già frequentato in passato: lo sberleffo a discografici, labels e music business. Kevin Spacey è un divertissement cinematografico: “Non per la politica dovete odiarmi, non per la voce nasale, ma per questo pezzo: finalmente avete un motivo!” grida Caparezza prima di rivelare come finiscono molte famosissime pellicole. A collegare tra loro i pezzi non mancano gli intermezzi recitati; i concerti di Caparezza, del resto, sono per metà veri e propri spettacoli di cabaret.
Il viaggio, insomma, continua, e il protagonista non perde un colpo. Egli stesso ha ammesso di preferire ad un fan sfegatato un più equilibrato simpatizzante. Forse perché sa bene cosa significa “essere capito male”: “Ecco l’ipocrita che giudica senza toga, quello fuori dal tunnel della droga…” D’altro canto, l’ultimo brano del nuovo disco, dal poetico titolo Ti sorrido mentre affogo, nello strizzare l’occhio ai Gatti di Vicolo Miracoli dice a chiare lettere che “non mi interessa essere capito, mi interessa essere, capito?”

antonio oliva 2011 per rivista "cultura e dintorni"

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Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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