Parte II
- Bella
serata… no?
Non
succedeva spesso che Ginzburg non sapesse cosa dire. Elena si rilassava sul sedile
che aveva leggermente reclinato, guardava la strada e resisteva al sonno. Si
fidava dell’improvvisato autista. In autostrada, quando non guidava, ripensava
spesso ai viaggi fatti durante l’infanzia a bordo del camion guidato da suo
padre. Decise di resistere al desiderio di una sigaretta, Enrico fece lo
stesso. Il professore era un po’ a disagio e tentava di nasconderlo, ma in 35
minuti di viaggio gli era venuta fuori solo quella domanda sul meteo, o in
generale sulla serata trascorsa.
- Sì, sì.
- fece Elena. Picchiettò due volte con l’indice sulla portiera.
- Ho
pensato fossi stanca per andare da qualche parte, - si decise Eric. - ti porto
a casa.
- Eh,
vedo. E poi?
- Lascia
fare a me, ci sarà pure un taxi, un treno, qualche bus…
- A Noce?...
- Elena lo guardò sorridendo. Per un attimo Ginzburg distolse lo sguardo dalla
strada e la guardò. Dietro le lenti vide i suoi occhi che lo guardavano dritto
in faccia. Fu solo un istante, ma vide qualcosa in quello sguardo che gli
ricordò, déjà vu, quello studente poco più che ventenne incontrato anni prima.
Erano occhi curiosi, ambiziosi, svegli nonostante l’ora e la stanchezza e l’inverno.
Nonostante l’età. Era possibile che quegli occhi mettessero in soggezione un
uomo come lui, seppure per un istante?
- Eh sì,
Noce… - fece. - vabbè, che ne so, mi farò un giro! Lascia fare a me, ti dico…
non hai un navigatore?
- No, non
mi serve. Sei mai stato a Noce?
- No, e
neanche conosco nessuno.
- Meglio
così.
- Perché?
- Non
frequenti già abbastanza ipocriti arroganti e perbenisti dalle facce
improbabili qui nell’Agglomerato?
L’Agglomerato
era ormai alle loro spalle, Elena non se n’era accorta. Per lei tutti ciò che
incontrava fino al suo paese era Agglomerato. Ginzburg fece un sorriso: quella
ragazza non finiva mai di stupirlo.
- Eh eh,
- ridacchiò. - hai ragione… come stai, Elena? - gli sfuggì con tono protettivo
e realmente interessato, il che succedeva sempre meno spesso. Elena rispose
tranquillamente, forse se l’aspettava. Sempre meglio dei giornalisti da cui l’aveva
“salvata”!
- Mah,
piuttosto bene. - Era una risposta di circostanza, o era vero soltanto in
parte, la parte più esterna, ma lei non sembrava curarsene molto. - Mangio, lavoro, dormo. Purtroppo sogno.
Cose così. Normale.
-
Normale? Davvero? Ti invidio. - disse Ginzburg. Era contento della piega che
aveva preso la conversazione.
- Non mi
prenda per cinica. - disse Elena piuttosto imperturbabile, gli occhi sulla
strada.
- Ma no,
ma no! - si affrettò a dire Ginzburg. - Ti conosco. Elena, dammi del tu; sono 6
anni che ci conosciamo.
- Hai
ragione. - Elena era stanca davvero, non era una scusa inventata per i
cronisti. - Comunque, probabilmente una lunga felicità estrema e un improvviso,
immenso dolore dopo un po’ di tempo ti lasciano in una situazione di almeno apparente
normalità. Credo di aver fatto la media. È stupefacente.
- Però,
mi sembra di sentire lui.
- Anche a
me.
Elena
sembrava disposta a parlarne e Ginzburg cercò di smettere di far cerimonie con
quella ragazza dell’entroterra campano che poteva essere sua figlia. Sulla
piccola autostrada illuminata non c’era quasi nessuno, in cielo s’intravedeva
qualche stella. Schiacciò l’acceleratore.
- Elena,
se ti annoio, riservami lo stesso mio trattamento nei confronti di quel
giornalista, in qualsiasi momento.
- Va bene
prof, tranquillo. - sorrise Elena Pedicini.
Ginzburg
esitò, poi: - Elena, ma è davvero andata così?
- Dipende
da quello che sai.
- So
quello che si dice, prendo per buono quello che leggo, spero di fare bene.
- Allora
sì, più o meno.
- Vuoi
parlarne, ci riesci? - chiese il professore ancora una volta, con la voce più
rassicurante di cui fu capace.
- Sì
prof.
- Costa è
morto? - chiese semplicemente.
- Ci
abbiamo appena fatto un convegno. - sorrise Elena, ma il suo sorriso era
diverso ora. Si era fatto spento, quasi isterico.
- Voglio
dire, non è possibile che sia ancora vivo? - domandò Ginzburg lentamente,
pesando le parole, cercando di farsi capire bene. Si parlava di una vicenda
clamorosa e la conversazione si svolgeva in modo quasi surreale.
- No, non
è possibile. E non sai quanto mi ci è voluto per capirlo, per smettere di
torturarmi ogni secondo. Questa non è più vita, ma per lo meno la rassegnazione
porta all’elaborazione della realtà. Ed è grazie a questo processo che io da
circa un mesetto ho ripreso una parvenza di vita normale, fatta di orari, di
impegni, di routine, come prima, anche se non sarà mai più come prima, ma certo
non fatta più di simili pensieri. Dove sarà, come starà. Gianni è morto
professore, il mio Gianni, la persona che amavo di più, è stato fatto fuori.
Rassegnamoci. Non mi mettere idee in testa.
- Non
vorrei mai, Elena…
-
Parliamone, ma non mi mettere idee in testa. - ripeté Elena in modo meccanico,
trattenendo le poche lacrime che le rimanevano da piangere. - Mi vedi calma… mi
vedi? - lo guardò di nuovo dritto negli occhi fissi sull’asfalto. - Non prendo
niente, non prendo pillole, le odio. Mai stata da un analista, non ci abbiamo
mai creduto. È un estraneo, non diverso da un giornalista, e devi pure pagare
per farlo, stare ai suoi orari, al suo gioco. Almeno i giornalisti ti
ascoltano, non chiedono altro. Tutti sentono quel che vogliono sentire, e il
problema rimane. Se c’è un problema, lo devi risolvere: è così che abbiamo
sempre fatto, così siamo stati educati. Così vai avanti. Mi vedi? Non piango
più, me l’hanno ucciso!, e io non piango! Ho pianto per quasi un anno, è
inutile e non ce la faccio più, davvero! - esclamò Elena con veemenza.
- Lascia
perdere, viaggiamo in silenzio!
- No, no,
professore, - Elena si calmò asciugandosi la guancia: una lacrima le era
sfuggita dalla coda dell’occhio. Singhiozzò. Non piangere. Non devi mai. Va
tutto bene e sempre così sarà. Sono con te. un bel respiro. Chiudi gli occhi.
Riparti. Déjà vu. - preferisco parlare con lei, sì insomma, con tu!
Con tu!
Scoppiarono a ridere. Ginzburg strinse il volante e cercò di rimanere
razionale. Sviò un poco la conversazione.
- Con tu,
eh eh… senti Elena, ma perché non torni a vivere in città? Conosco tanta gente
lo sai, potrei… - aggiustò il tiro. - …potresti cercare un lavoro, tu scrivi…
scrivevi, eri brava, sì insomma, lo sei!
- No
grazie Eric. - Elena gli toccò la mano che lui teneva sul cambio. - Non ne
potevamo già più dell’Agglomerato. Sto bene, gestisco un locale.
- Sì, lo
so, gestisci un locale a Noce. - disse l’accademico imitando scherzosamente il
tono usato poco prima da lei parlando del suo paese natale.
- A
Gianni piaceva l’idea di un locale a Noce, e anche a me piace.
Ginzburg
ritornò serio. Ma che diavolo, era più facile parlare di letteratura italiana
con Giulio Ferroni che fare quel viaggio di 100 km con una ragazzina che
parlava ormai senza espressione!
- Ma non
è di tua proprietà, giusto? - ribatté subito.
- No no,
ma faccio praticamente tutto io, il proprietario lo conosco.
- Paga
bene?
- Sì, le
entrate per fortuna sono buone.
- Sta
bene. E…
- Non
torno. - lo interruppe la sua giovane amica. - Non scrivo più.
-
Peccato. - Ginzburg era sincero con Elena. - Un bel volume…
- No
davvero. - tagliò corto Elena. Non mi interessa più. Stasera sono venuta perché
c’eri tu, e poi è stata un po’ una sorpresa. Ma ho chiuso quasi del tutto con
quel mondo. E con quel posto.
Ginzburg
non ebbe bisogno di sentire altro.
- Certo.
- annuì. Sospirò. - Dopo quello che è successo. - Si asciugò una guancia
leggermente sudata. - Che poi, erano stranieri, giusto?
Elena
annuì. - Pare che tra lor parlassero francese, qualcuno forse anche inglese.
Avevano una pessima pronuncia e la carnagione bruna.
- Non si
è mai trovato nessun possibile colpevole?
- No. -
Sembrava un’incredibile intervista, ma non infastidiva Elena.
- Cioè,
vuoi dirmi che non sono saltati fuori in tutto l’Agglomerato sei o sette figli
di puttana anglofoni o francofoni di carnagione olivastra?
- Erano
in 5, e non si trovano. Paolo…
- Ah sì,
Paolo Torre!
- Sì. Lui
era con Gianni quando è successo. Glie ne hanno fatti vedere a centinaia, ma
non c’entravano niente. Paolo si è occupato personalmente dei rapporti con la
polizia, è nato in città, ha molte conoscenze. A nessuno è stato torto un
capello perché i responsabili non si trovano, i modi degli agenti sono molto
migliorati. In più, quelli erano mascherati da Berlusconi e d’Alema e cose
simili. Si avvicinava il Carnevale, non devono aver insospettito nessuno. Sai
quante maschere del genere sono state vendute nell’Agglomerato?
-
Capisco. Si sono nascosti bene.
-
Letteralmente spariti.
- Ma…?
- La
versione ufficiale dei fatti è quella vera. - Quante volte l’aveva ripetuta
negli ultimi 12 mesi? Quante volte se l’era immaginata? - Erano stati da Malik
il pakistano per un kebab, come spesso succedeva, io ero a casa a studiare. Si
erano spinti nei bassifondi più bassi dell’Agglomerato, giù nel Distretto
Orientale, ci giravano spesso. Gianni si lasciava ispirare dal turpe come dal
sublime, “la chiesa e la fogna” diceva. Conosceva tutti gli intellettuali ed
era amico di tutti i barboni. Nel bel mezzo di vico Tufo, dopo il CSOA Fire Fi…
- Fire
Fi?
- Gli
hanno cambiato nome da poco, oggi si chiama Free Fi. - Quando un fatto
raggiunge un vasto interesse, sembra che non si parli d’altro, e che ogni altro
fatto sia a esso conseguente. In questo caso, l’impressione, che Ginzburg
avvertì distintamente, era esatta: il centro sociale era stato ribattezzato
dopo quegli accadimenti. - Sbucano due uomini, uno più grosso e l’altro
mingherlino, chiedono a Gianni e Paolo qualcosa da fumare, qualsiasi cosa, in
un italiano stentato. Gianni estrae una sigaretta, il più piccolo dei due una
pistola.
- Erano
mascherati, giusto?
- Sì, ma
sai bene quanti spostati ci sono nell’Agglomerato, la cosa li turbò poco, e a
essere sincera avrebbe turbato poco anche me perché può capitare. Quello che
non capita tutte le sere è ricevere una bastonata nelle gambe da Berlusconi e d’Alema.
Ginzburg
si morse il labbro inferiore.
- Gianni
cadde, Paolo gridò, erano impotenti. Altri due uomini sbucano dal nulla,
armati, uno di pistola, l’altro di qualcosa di simile a un manganello. “Giovanni!”
grida il primo, e il poveretto si volta verso di lui. Il secondo spinge Paolo a
terra, il suo cellulare va in pezzi. In due li tengono sotto tiro, gli altri
due trascinano via Gianni colpendolo ripetutamente. Parlano velocemente, ma
Paolo capisce, in francese: “E’ lui, vero?”, “Sì, è lui il poeta!”. Il poeta,
capisci? Neanche gli piaceva essere chiamato così!
- È assurdo.
- Non
eravamo ricchi, non eravamo famosi, non eravamo nessuno.
- Perché
allora?
- Nessuno
lo sa, tranne quei 5 pezzi di merda. Non hanno chiesto alcun riscatto, non una
chiamata, non una notizia per un mese. Spariti nel nulla, nessun contatto. Lo
abbiamo cercato dappertutto, prima nel Distretto Meridionale…
- Il
Quartiere Islamico.
- Niente,
semplicemente non sono in nessun posto, è come se la terra li avesse
inghiottiti. L’hanno portato via a bordo di una macchina stranissima, che Paolo
non aveva mai visto prima, non ricordo neanche il nome, un’auto sovietica!
- Una
Lada-Vaz Niva.
- Esatto!
Ricordo che era enorme, tipo fuoristrada, a stento passava tra i vicoli, il
quinto, il pilota, doveva essere molto bravo. Sbuca dalla traversa, salgono
tutti a bordo trascinando con loro Gianni, picchiandolo e bestemmiando, per poi
fuggire via lungo vico Tufo, nella notte.
- È una
storia incredibile, non ha senso! - Ginzburg continuava a ripetere le stesse
cose scuotendo il grosso capo ricciuto.
- Paolo
rimase solo, sotto shock. Venne da me, distrutto. Il momento più follemente
disgraziato della mia vita. - disse Elena con voce penosa ma lucida. -
Ovviamente andammo subito alla centrale di polizia vicino dove abitavo, che
dovrebbe contenere la criminalità almeno nelle immediate vicinanze.
Sfortunatamente, non siamo a Sim City.
- A me
pare piuttosto Sin City. - provò a sdrammatizzare Ginzburg.
- È vero.
- fu la sola risposta di cui fu capace Elena, che non riuscì a sorridere.
- Non so
davvero come andrà a finire, se potessi me ne andrei anch’io. - Non alludeva
unicamente al caso Costa, l’Agglomerato era un posto pericoloso. La polizia
faceva quel che poteva, ma legalità, ordine ed equità richiedono soldi, e soldi
non ce n’erano, o meglio c’erano, ma nei posti sbagliati. La corruzione e la
malavita organizzata facevano il resto. Gli inquirenti avevano pensato anche
all’NMO (Nuova Mala Organizzata), ma cosa poteva mai avere a che fare con un
giovane scrittore tranquillo e squattrinato? Gianni Costa, e anche Elena
Pedicini, non avevano la visibilità per dare fastidio a qualcuno. - Ti serve un
cuoco? - sorrise Ginzburg. Questa volta Elena non riuscì a non fare
altrettanto: uno dei primi italianisti nazionali si era appena candidato come
suo sottoposto. “Ma cosa accidenti succede?, non doveva andare così! Lo diceva
Gianni: a volte vorrei una vita normale.”
- Siamo
andati alla polizia, - riprese a dire. - quindi nessuno ha pensato a bloccare
il conto di Gianni. Il giorno seguente i suoi pochi soldi non c’erano più.
Prelevati dalla posta centrale del Distretto Meridionale. Mai che funzionino le
telecamere di sorveglianza lì fuori. Mai una traccia, mai un indizio, lo hanno
costretto a prelevare. Non erano molti soldi, non l’hanno rapito per quello.
Ginzburg
taceva e ascoltava, cosa inusuale per lui, gli occhi sulla carreggiata.
- Passò
un mese. Non si parlava d’altro, lo cercavano tutti, chiunque conosceva Gianni
Costa e la sua faccia. Una signora lo trovò ubriaco sulla panchina di un parco
e scatenò il putiferio: purtroppo non era lui, anche se gli somigliava.
- Mi
ricordo, - intervenne Ginzburg. - molti dichiararono di averlo visto.
- Tutte
bufale, - fece Elena. - allucinazioni, o invenzioni. A me capita di vederlo, ma
purtroppo non è lui.
- Sì.
Anche a me.
- Il suo
libro cominciò a vendere. - proseguì Elena. - Il trentunesimo giorno, una email
raggiunse le caselle di posta delle principali testate nazionali e locali: “Il
Poeta è morto. Evviva il Poeta!” Da principio non si credeva possibile, poi,
mese dopo mese, ci siamo arresi all’evidenza: Gianni Costa è stato ucciso dai
suoi rapitori, misteriosamente scomparsi, forse espatriati. La polizia non lo
cerca più, è impossibile che sia ancora vivo dopo quasi un anno senza un solo
segnale. La mail fu inviata da un computer rubato che pare sparito pure lui nel
nulla. Mai una traccia, mai un indizio.
- Non un
testimone?
- Il
Granconte, l’ubriacone di vico Tufo.
- “L’Animale”?
Andiamo bene…
- Vedo
che qualcuno frequenta il Distretto Orientale.
-
Frequentava. Ha confermato?
- Ogni
cosa.
- Dio mio.
- Da un
anno vivo in un incubo. Un indistruttibile, ovattato incubo. È già tanto che mi
renda conto di cosa faccio e di come mi chiamo.
- Scusa,
ho afferrato: da oggi ti inviterò solo tra il pubblico.
-
Tranquillo prof., comunque grazie. Gira a destra.
Avevano
appena lasciato l’autostrada per il comune di Noce.
- Ho
sentito Andrea Nippolis, - si ricordò Eric svoltando. - potrebbe scrivere una
biografia, autorizzata naturalmente…
- Non lo
so, Eric. La sua prima raccolta è un best-seller, i 3 libri postumi, le traduzioni,
i convegni…
- Guarda
che è bello, ne sarebbe fiero…
- Certo,
lo so… fammi parlare con i genitori…
- D’accordo.
E se no, a fare in culo anche Nippolis!
Stavolta
risero un poco. Poi fu Elena a ricordarsi una delle ultime novità.
-
Vogliono fargli una statua. - disse, come fosse la più trascurabile delle
notizie.
- Una
statua?
- Beh, mi
ha detto un assessore di un mezzobusto al parco comunale, tra quelli delle
celebrità locali.
- Mi
sembra un’ottima cosa, Elena.
- Accosta
professore, siamo arrivati.
Elena
indicò una traversa a destra che si apriva sulla curva al termine della discesa
che stavano percorrendo, dietro una chiesetta. C’era un po’ di nebbia e l’asfalto
era umidiccio come al solito. Enrico Ginzburg, poco avvezzo alle stradine di campagna,
girò lentamente il volante. proseguirono lungo una ripida discesa costeggiata
di graziose casette, tutte dotate di comignolo, cortiletto con tettoia, cuccia
per il cane. Dopo pochi metri, Elena disse a Ginzburg di entrare in uno dei
cortiletti illuminati: erano arrivati.
La
ragazza guidò il professore su una piccola scalinata.
- Entra e
bevi qualcosa. - Ginzburg non rifiutò. Salirono i pochi gradini e accedettero
nell’appartamento situato al piano sopraelevato, occupato da Elena. Viveva in
affitto e la sua casa era composta da un minuscolo ingresso, una piccola
cucina, una piccola stanza da letto e un piccolissimo bagno. Un piccolo
appartamento che a lei sembrava enorme.
Ginzburg
fece attenzione a non sbattere la testa entrando in casa. Elena lo condusse in
cucina e prima ancora di chiedere: - Whiskey, vero? - mise mano a una bottiglia
di Jack Daniel’s quasi del tutto piena. Ginzburg sorrise. Di solito agiva
impulsivamente: le persone con cui era uscito dal teatro, tutte di medio-alta
importanza, si stavano certamente chiedendo dove fosse finito; sua moglie non l’aveva
nemmeno cercato al telefono perché lo conosceva; si ritrovava nella provincia
sperduta senza alcun motivo, eppure ne era contento, ed era contento di essere
riuscito ad affrontare sufficientemente bene quella situazione. In fondo, i due
si stimavano vicendevolmente. Elena si concesse una sigaretta che estrasse
dalla borsetta, Ginzburg bevve.
- Qui non
avete giornalisti? - rise. - A quest’ora avrebbero già scritto che siamo
amanti, in città!
- E tu
sei uno dei non più di 3 accademici che sono certa non voglia dar loro ragione!
- Ha ha
ha Elena, ma hai l’età di mia figlia! Lunedì ha un esame.
-
Lettere?
- Per
carità! - Ginzburg alzò le grandi mani al cielo. - Ingegneria!
-
Incredibile! - Fu l’unica volta che Elena alzò la voce in tutta la serata.
-
Maledetti, l’università è diventata infinita! - attaccò Ginzburg. - Noialtri
siamo costretti a lavorare fino alla dipartita, voialtri a studiare! Cambia l’ordinamento,
cambia il conio, un esame nuovissimo ordinamento è uguale a 1936,27 esami del
nuovo ordinamento, ora cosa ci attende, il nuoverrimo disordinamento? - Era al
secondo cicchetto e rideva, ma smise subito per delicatezza. - Rimettiti a
studiare.
- Non
mancherò.
Ginzburg
si grattò la testa scompigliandosi i capelli sulla nuca. - Beh, tra poco
albeggia, - disse senza neanche guardare l’orologio. - Vado. - Voleva
raggiungere il cappotto sul divano, ma non gli era semplice alzarsi dalla
sedia.
Elena
prese con sé il cappotto.
-
Buonanotte prof.
...continua