Benevento, Hortus Conclusus |
“Nulla in Italia è più antico di Benevento, che secondo le
leggende locali fu fondata o da Diomede o da Ausone, un figlio di Ulisse e
Circe. Essa fu senza dubbio un'antica città ausonica, fondata lungo tempo prima
della conquista sannita di questa parte d'Italia.”
A scriverlo è Edward Hutton, nato ad Hampstead, Londra, nel
1875. I suoi viaggi in lungo e in largo per lo Stivale furono oggetto di
numerose opere, tra cui spicca il suo ultimo lavoro, Naples and Campania revisited, uscito a Londra nel 1958 per Hollis
and Carter. La sua testimonianza viene citata dallo storico casertano Aniello
Gentile, autore di Benevento
nei ricordi dei viaggiatori italiani e stranieri (Società Editrice
Napoletana, Napoli 1982), opera patrocinata dal comune di Benevento. Sulla
soglia del testo, il saggista beneventano Roberto Costanzo ripercorre la storia
della sua città: “Quando dalle brume nordiche i Longobardi calarono per
fondarvi il più grande ducato dell’Italia meridionale, Paolo Varnefrido Diacono
ne celebrò i fasti.”
Costanzo si
riferisce al Ducato di Benevento, la cui fondazione si fa risalire al 576; esso
costituiva, insieme al Ducato di Spoleto, la cosiddetta “Langobardia Minor”,
separata dalla “Maior” (come venivano chiamati i territori settentrionali)
dallo Stato Pontificio. Il Ducato di Benevento rappresentò da un lato
l’insediamento longobardo più meridionale, dall’altro l’ultimo a cadere
(accadde solo nel 1078, quando i Normanni presero Salerno).
È in questo
lontano passato che bisogna ricercare le origini e le prime testimonianze di
una delle leggende popolari più note e studiate in Italia e nel mondo: quella
delle Streghe di Benevento e del mitico Noce sotto le cui fronde esse si
radunavano, un tema che ritroviamo nelle opere degli artisti praticamente di
ogni tempo. La fonte più importante, a cui dobbiamo la stragrande maggioranza
delle informazioni sull’argomento, è forse il “Trattato historico” intitolato Della superstitiosa Noce di Benevento,
stampato a Napoli per i tipi di Giacomo Gaffaro nel 1640. L’autore è il
beneventano Pietro Piperno, singolare e poliedrica figura di scrittore,
filosofo e scienziato. Egli fu infatti medico, anzi “protomedico”, ossia il
funzionario pubblico che coadiuvava lo Stato nell’adempimento dell’attività
sanitaria (inutile sottolineare la rilevanza anche politica di questa carica).
Nel suo trattato, rifacimento in volgare di un primo lavoro in latino, il
Piperno ricostruisce la eziologia della leggenda, la quale assume contorni di
vera e propria eresia. Le strane pratiche e i riti demoniaci che sembravano
svolgersi sotto il Noce infatti derivavano dai culti religiosi pagani dei
Longobardi: si racconta che nel VII secolo i Beneventani adorassero idoli come una
testa di capra, un serpente di bronzo o una vipera d’oro (quest’ultima, detta “Anfisibena”,
poteva essere alata o bicefala). La maggior parte di queste cerimonie si
svolgevano sotto un enorme albero di noce situato due miglia fuori città, nelle
cui radici, secondo l’autore, si era addirittura insediato il Diavolo. Siamo nel
Seicento, il secolo del Barocco e della Controriforma cattolica, e per un uomo
di scienza avvenimenti soprannaturali come miracoli, apparizioni ed interventi
divini o diabolici di ogni sorta sono ancora plausibilissimi.
Ferdinand
Gregorovius, storico tedesco del XIX secolo, riferisce che all’epoca “la città si
considerava come repubblica sotto l'alto patrocinio dei Papi”. Il
trattato è dunque un frutto dell’ortodossia cattolica più intransigente, volto alla
descrizione del nemico (i pericolosi residuati di un paganesimo barbarico
antico e misterioso) e alla sua distruzione culturale e materiale. In una
società in cui la dottrina cristiana penetrava ancora ogni manifestazione della
vita umana non c’era spazio per altre posizioni: la censura ecclesiastica
costringeva gli autori a modificare anche i contenuti più innocui e
l’alternativa era vedere il proprio lavoro messo all’Indice e arso
pubblicamente (e non dimentichiamo i tanti eretici veri o presunti condannati
al rogo dal Tribunale dell’Inquisizione). Gli intellettuali più intransigenti
si arrangiavano come potevano: nacquero la stampa clandestina, la dedica a un
personaggio potente che potesse fungere da protezione, la crittografia.
Nella sua
opera, Pietro Piperno descrive l’albero incriminato e ne narra la storia, per
poi soffermarsi sulle maggiori famiglie del patriziato beneventano che tanto
peso ebbero nella vittoria del cattolicesimo su quei culti eterodossi (l’autore
rintraccia gli albori delle casate in questione proprio nel VII secolo: sui
loro stemmi familiari figurano infatti serpenti alati a due teste). Si
chiarisce poi per quale motivo le Streghe si riuniscano qui piuttosto che
altrove e perché siano donne piuttosto che uomini; si sottolinea l’incredibile
fama del luogo maledetto presso gli Stregoni di tutto il mondo e se ne individua
la precisa collocazione. Completa l’opera una serie di gustosi “esempi” di casi
strani o prodigiosi riguardanti le Streghe oppure verificatisi all’ombra del
Noce.
Nella prima
parte dell’opera si intrecciano più che altrove storia e leggenda: si narra
dell’assedio mosso nel 663 dall’imperatore bizantino Costante II al Ducato di
Benevento. Ben presto a Romualdo I, sesto duca della città, non rimane che
chiedere l’aiuto divino tramite la generosa intercessione di San Barbato, il
futuro Vescovo di Benevento che predicava in piazza contro le idolatrie e i
riti mostruosi che si svolgevano presso il Noce. La battaglia è vinta,
soprattutto grazie al valore dei cavalieri longobardi e ai rinforzi provenienti
da Nord e capeggiati da Grimoaldo, Re dei Longobardi e padre di Romualdo.
Quest’ultimo, restaurata la pace, mantiene la parola e, recatosi in processione
nella nebbiosa Valle del fiume Sabato, fa sradicare il diabolico albero, nelle
cui radici viene trovato Satana in persona sottoforma di orrido serpente: solo
un nuovo intervento di Barbato, che uccide il Demonio con l’acqua benedetta,
salva la situazione.
In realtà si
pensa che i riti longobardi affondino le proprie radici in culti pagani diffusisi
a Benevento già durante la dominazione romana: si adoravano Iside, la dea
egizia della luna che poteva dominare i serpenti, Ecate e Diana, divinità
greco-romane rispettivamente degli inferi e della caccia (identificate come
entità una e trina). Ipotesi molto probabile, se si pensa che il termine locale
per “strega” è “janara”, che potrebbe voler dire “seguace di Diana” oppure derivare
da ianua, latino per “porta”. Secondo
la tradizione popolare infatti per tenere le Streghe lontane dalla propria casa
bisogna tenere una scopa o un sacchetto di sale appunto davanti alla porta
d’ingesso. La Strega che nottetempo tenterà di entrare dovrà allora contare
tutti i fili della scopa o i granelli di sale finché spunterà il sole, la cui
luce ucciderà la “sposa di Satana”.
Il
Cristianesimo tentò di spazzare via le pratiche pagane preesistenti, ma finì
con inglobarne molteplici elementi: per fare un solo esempio, il culto della
Madonna ha più di un punto in comune con quello di Iside. I Longobardi si
convertirono formalmente, ma in molti non abbandonarono le antiche credenze: un
rito in onore di Wotan, il padre degli dei, prevedeva che la pelle di un
caprone fosse appesa a un ramo del Noce. I cavalieri giostravano con
l’obiettivo di strappare con le loro lance brani di pelle che poi divoravano in
una sorta di pasto rituale. È probabile che le urla dei guerrieri abbiano
suggerito ai Beneventani cattolici l’idea delle danze orgiastiche.
In ogni caso, alla
fine del racconto Pietro Piperno può esultare per il trionfo dell’ortodossia sull’eresia:
il Noce è distrutto e la partita è vinta. O forse no? In fin dei conti,
un’inquietante leggenda narra che molti altri simili alberi siano cresciuti
spontaneamente poco lontano, originandosi per intervento diabolico dalle radici
del primo. E il duca Romualdo, privatamente e in gran segreto, continuò ad
adorare la sua vipera d’oro a due teste…
antonio oliva 2012 per rivista "cultura e dintorni"
Antonio Oliva, Le Streghe di Benevento. La leggenda della "superstitiosa Noce", collana Saggistica, Caravaggio editore, Vasto, in uscita
Antonio Oliva, Le Streghe di Benevento. La leggenda della "superstitiosa Noce", collana Saggistica, Caravaggio editore, Vasto, in uscita
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Conoscevo la leggenda delle streghe di Benevento, ma non che fossero stati condotti degli studi da parte di storici. Leggerò il libro.