I pochi clienti della bassa stagione sistemano le valigie nella hall dell’albergo. Amalfi è ancora più bella nel tardo pomeriggio, come tutto. Il personale dell’albergo attende il tramonto: a breve qualcuno potrà staccare e tornarsene a casa. Il bambino biondo è in piedi al centro della hall, circondato dal viavai dei presenti. È triste, e non sa perché. Sarà l’estate che finisce, sarà il clima che già preannuncia il rigore della stagione fredda, sarà una sorta di tetro presentimento: ti manderanno alla scuola materna.
Sarà che si è divertito, specialmente quando ha visto quella enorme ancora gialla come i suoi riccioletti normanni: indossava una maglia nera abbottonata sopra la t-shirt blu scuro, perché non prendesse freddo in uno di quegli eterni pomeriggio-sera di uno di quei nuvolosi mesi di settembre. Il suo papà gli ha anche scattato una bella foto sopra il porto, vicino a quell’ancora gigantesca anche per qualcuno molto più grande di lui. La conserveranno a lungo, quella foto.
Si divertiva, il bambino, e non pensava al ritorno a casa, né pensava che potesse essere tanto triste tornare, né già tanto sciocchino e sentimentale da affezionarsi così tanto a un semplice hotel. Sai quanti hotel dovrai girare in vita tua, se ti trovi un buon lavoro serio?
Il bambino è frastornato. Si siede sui morbidi cuscini neri dei divanetti che costeggiano le pareti tutt’intorno. E si mette a piangere. La sorellina piccola sta lì buona buona, e lui piange rumorosamente, non senza una certa sorpresa da parte del personale dell’albergo. Non è certo il primo bimbo che frigna, ma non capita tutti i giorni che qualcuno, seppure quattrenne, pianga in modo così plateale prima di andar via da quell’albergo. Se ci fosse il direttore, dovrebbe essere soddisfatto. Ecco, guardi cos’ha combinato! Lei, l’architetto, l’ingegnere, l’arredatrice, l’imbianchino, fino all’ultimo facchino, cuoco o cameriere, adesso sarete contenti! Avete fatto un posto così bello da far piangere un bambino! Invece quelli non hanno fatto niente.
I genitori del piccolo lo consolano, gli chiedono che cos’abbia. Ma non lo sa neanche lui, semplicemente nel momento in cui deve andare via, non vuole farlo. Non può farlo. Per i Romantici si chiama spleen, per gli elegiaci latini nequitia. Ed è appena all’inizio del suo viaggio alla scoperta di un mondo di distacchi, di addii distratti, di superficialità.

da rivista alibi altrove letterario, marginalia, caserta 2013
napoli settembre 2012
a

... Ti piacerebbe leggere il resto? Un po' di pazienza ;)

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Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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