Vincenzo Latronico è nato nel 1984 a Roma. Vive attualmente a Berlino
ed è uno degli autori più promettenti del panorama culturale italiano. Oltre a
romanzi e racconti, scrive per il teatro ed è anche traduttore. Ha curato una
rubrica su Radio Onda d’Urto e ha vissuto a Milano, in Belgio e in Lussemburgo.
Ci incontriamo in occasione della premiazione del Premio Napoli
tenutasi il 12.12.12 presso il Teatro Mercadante. La nostra piacevole chiacchierata comincia al
tavolino di un vicino e chiassoso bar, davanti a una birra e dei salatini.
Vincenzo, parlaci di te come
uomo e come autore.
In realtà fatico sempre molto a sentirmi autore. Proprio oggi
scherzando dicevo che sulla mia carta di identità c’è scritto ‘traduttore’, perché
credo si tratti di una capacità misurabile. Che io sia un autore dipende da
troppi parametri esterni, come il fatto che sia riuscito a pubblicare, che ci
sia un mercato del libro, cosa che oggi non è poi neanche del tutto ovvia. Ho
difficoltà anche a usare la parola ‘uomo’: quand’è che si diventa uomo? Alla
nostra età i nostri genitori avevano già figli e mutuo, diversamente da noi. Ho
studiato Lettere, poi Filosofia, ho iniziato un dottorato che poi ho
abbandonato: ci sono un po’ di tracce di questo anche nel mio ultimo romanzo.
Parlaci delle tue opere.
Ho iniziato il mio primo romanzo, Ginnastica
e rivoluzione (vincitore del Premio Berto opera prima), a 17 anni senza
avere idea che avrebbe avuto un pubblico e sarebbe finito su uno scaffale
accanto a Hemingway. È passato attraverso diverse redazioni, per uscire
addirittura 7 anni dopo. Tutto questo si nota dalle pagine del libro, è un
romanzo che serve a far vedere che ci sai fare. Mi viene in mente Wallace, che
riassume il suo primo romanzo con la frase “Guarda mamma, senza mani!”. Col
tempo poi si acquisisce dimestichezza. Non è un caso che il mio secondo
romanzo, La cospirazione delle colombe,
abbia trovato più lettori perché si propone di dare realmente qualcosa al
pubblico, in termini di intrattenimento, opinioni, nozioni interessanti, a
differenza del primo libro che oggi mi sembra un complicatissimo gioco di
parole. Magari a tratti anche bello, ma niente di più. Linee guida sulla ferocia è un testo teatrale su fragilità,
desideri e paure della ‘generazione 1000 euro’. Normalmente, il regista guida
l’autore nella scrittura del copione. Nel mio caso, invece, non è andata così,
per cui il mio libro può avere degli spunti interessanti o dei bei personaggi,
ma non era adatto a essere rappresentato così come l’avevo scritto, infatti è
andato in scena con molte modifiche apportate insieme da me e dal regista che
con molta gentilezza mi ha spiegato cosa in scena non funzionava.
La cospirazione delle colombe è l’opera finalista nella sezione
narrativa del ‘Premio Napoli’…
È un romanzo classico, molto lungo, con tanti personaggi e una trama
molto complessa. È nato dalla sovrapposizione di due romanzi diversi: uno che
parlava del mio quartiere nella periferia nord di Milano, il quartiere Isola,
che un tempo era popolare ma in seguito a una serie di speculazioni è diventata
una zona ricca; un altro sulla finanza e su certi fatti avvenuti in Albania
negli anni ‘90, i quali mi venivano raccontati dal mio coinquilino albanese e
mi parevano le premesse della crisi mondiale del 2008-2009. È una storia che
parla di ambizione, di cosa si è disposti a tradire, delle autogiustificazioni:
“ne ho subite tante, adesso tocca a me darle” e “se non approfittassi io lo
farebbe qualcun altro”. Una volta messi insieme i due progetti, anche la
scrittura è diventata più rapida.
Laureato in Filosofia, critico
d’arte, traduttore, scrittore: come concili tra loro questi ambiti simili ma
diversi?
Nel mondo del teatro io sono un infiltrato: il Napoli Teatro Festival mi
ha commissionato un testo nell’ambito di un progetto che portasse a scrivere
per la scena giovani autori che non l’avessero mai fatto. Io mi sono buttato ed
è nato Linee guida sulla ferocia. Ho
iniziato a scrivere di arte occupandomi della letteratura nell’arte. Di solito
mi lancio, un po’ ingenuamente, nelle cose che mi incuriosiscono. Purtroppo
però oggi si ragiona un po’ troppo per settori, forse più in Italia che
altrove, credo a causa della gerontocrazia e del ‘diritto di cittadinanza’
ottenuto solo tramite la gavetta. Questa situazione non fa il bene della
disciplina, ma di certo fa il bene dei praticanti, perché garantisce un numero
limitato di ‘posti’.
C’è mai stato un momento di
crisi nella tua attività in cui hai pensato di smettere di scrivere?
Sì, questa estate. Sono uscito da poco tempo da questa sorta di crisi.
Ad aprile ho cominciato un nuovo libro, ma d’estate mi sono completamente
bloccato: mi ero preso tre mesi per lavorarci ma non ho scritto niente, o
meglio, ho scritto cose di cui ero profondamente scontento. Mi sono detto: se
va avanti così mi dedicherò soltanto alle traduzioni. Poi, dopo un altro mese
di ‘vacanza’, ho ricominciato a scrivere a novembre e ho riempito un quaderno
che mi è stato purtroppo rubato pochi giorni fa. L’ho preso come un chiaro segnale:
devi soffrire di più. Diciamo che è stato un anno complesso ma ora sono
ottimista.
Lo stato della cultura in
Italia e all’estero.
È un argomento veramente molto vasto. La musica e il cinema hanno
attraversato una profonda crisi economica dovuta all’avvento del digitale. La
letteratura non ci è ancora arrivata ma è sulla stessa strada. Credo che le
cose cambieranno ancora e che la letteratura stia per infrangersi sullo stesso
iceberg dell’industria discografica e non si stia prendendo nessun provvedimento.
Gli economisti sostengono che tra qualche tempo tutta l’arte non sarà più
pagata e sarà totalmente gratuita: un male per i produttori, ma un bene per i
fruitori. Io sono molto più un consumatore che un produttore, quindi ci andrò a
guadagnare. Un’obiezione potrebbe essere che in questo modo non si produrrà più
cultura di qualità, ma se ci pensiamo in passato non esistevano le royalties, Ariosto
e Cervantes non avevano le royalties, per cui se è andata bene per loro
potrebbe andare bene anche per noi. Magari si troverà un equilibrio economico
diverso. Il libro cartaceo a cui siamo tanto legati potrebbe scomparire, ma a
pensarci bene è lo stesso discorso fatto ai tempi di un altro cambiamento
epocale: l’invenzione della stampa a caratteri mobili avrebbe reso i libri
tutti uguali e senza anima. La nostra è una generazione a cavallo, di
transizione, ma già per i nostri figli tutto questo sarà normale. Sempre che le
condizioni economiche ci permetteranno di averne. Siamo una generazione
sfigata.
Ti senti un falco o una
colomba?
È una domanda infernale perché in fondo se penso a una tesi del
romanzo, se c’è, è che sono le circostanze che fanno il falco o la colomba. Io ho
scelto di abbandonare il dottorato perché mi sembrava una situazione che ti
incoraggiava a fare il falco. Se ad esempio, indipendentemente dal tuo valore,
ti viene offerta una raccomandazione senza la quale non puoi andare avanti,
perché il tuo posto verrà comunque occupato da un altro raccomandato, tu cosa
fai? Se accetti, questa è la situazione che fa di te un falco. Scegliendo di
andare in Germania e di ritirarmi dalla società letteraria italiana ho cercato
un po’ di preservarmi, se vuoi per vigliaccheria, perché di fronte alla scelta
forse non avrei il coraggio di fare la cosa giusta. Mi sento molto volubile, o
molto ‘volatile’, per cui preferisco privarmi della scelta. Per dirla con
Andrea de Carlo, autore di Uccelli da
gabbia e da voliera, io forse mi sento un uccello da voliera.
Prima di salutarci, secondo te
stasera chi vince?
Come ha scritto Saint Just nei Frammenti
sulle istituzioni repubblicane, “Alla fine vince sempre il popolo”.
Così si conclude la nostra intervista, ma continueremo a chiacchierare
ancora a lungo. Intanto scappiamo al Teatro. Paghiamo il conto e Vincenzo ci
dice: “Grazie ragazzi, se vinco a buon rendere”.
La cospirazione delle colombe
ha vinto il primo premio nella sezione narrativa del ‘Premio Napoli per la
lingua e la cultura italiana’ con la seguente motivazione: “Apprezzabile per l’urgenza dei temi
affrontati – l’etica dei rapporti interpersonali sullo sfondo della crisi
globale – La cospirazione delle colombe
avvince l’attenzione del lettore grazie a un’esperta costruzione
dell’intreccio, alla vitale originalità dei personaggi e a una lingua affabile,
efficace, mai corriva.”
Antonio Oliva & Filomena Roberto 2013
(da rivista Cultura e Dintorni n. 8-9)